Paul McCartney ha deciso di occupare al meglio il tempo libero dato dalle avverse circostanze di questo anno devastante. Come molti artisti più o meno famosi e più o meno bravi, ha dovuto rinunciare ad esibirsi dal vivo. Cosa c'è di meglio se non produrre nuova musica?

Questa volta come ci ricorda il titolo si è messo decisamente in proprio, dando vita al seguito del secondo capitolo della ormai trilogia dei "McCartney" album, scritti suonati e prodotti interamente dal baronetto inglese.

Riavvolgendo il nastro di soli due anni usciva quel gioello di album chiamato "Egypt Station".Un album che è stato un deciso successo di critica e anche di pubblico visto le buone vendite. Un disco ricco e sfaccettato, con sonorità a volte distanti ma sempre coerenti con il percorso dell'artista. Un artista che in quasi sessant'anni di carriera non è mai rimasto fermo nelle sue idee e nella sua visione d'insieme.

Ha sempre avuto gran coraggio nello sperimentare nuove sonorità, o semplicemente sonorità ben distanti dal suo background. Se guardiamo bene è anche il percorso dei Beatles. I Fab Four sono stati per larghi tratti un caleidoscopio di suoni. Un universo di note che andavano via via intrecciandosi. Senza mai avere alcun denominatore in comune se non il talento.

Sir Paul, dopo oltre 400 canzoni rilasciate a suo nome (o a nome Wings) ha fatto dunque uscire un nuovo album in questo disgraziato anno.

Questo "McCartney III" è un album molto diverso dal precedente. Se il precedente era elaborato e ricco di postproduzioni, questo al contrario è molto diretto e semplice. E' un disco spontaneo, frutto di poche sessioni(come da Paul dichiarato).

Il disco si apre con "Long Tailed Winter Bird" una splendida canzone quasi completamente strumentale che dà subito il mood giusto ad un album bello ed eterogeno. Anche "Deep Deep Feeling" forte dei suoi otto minuti e ventisei secondi si fà ricordare come una canzone ipnotica e dalla buona base strumentale. La melodia approda con prepotenza(e come potrebbe essere altrimenti?) con "The Kiss Of Venus".

Chitarra e voce, non serve altro quando ti chiami Paul McCartney.

Lo conferma anche "Pretty Boys", non indimenticabile ma certamente degna di nota. C'è spazio anche per un pò di R&B con "Deep Down", una canzone che non rientra negli schemi classici dell'artista ma viene premiata da alcune buone trovate e un ritmo tutto sommato gradevole. Il disco si chiude con il lato b della traccia d'apertura: "Winter Bird/When Winter Comes". La canzone si apre infatti con la stessa melodia della prima traccia per poi proseguire con il collaudato schema chitarra/voce.

Non ci sono chissà quali esperimenti coraggiosi in questo lavoro. Solo una decina di canzoni ispirate con Paul che ha ancora molto da dire anche dal punto di vista vocale. Certo la sua voce non può essere come qualche anno fà, ma chiunque abbia avuto la fortuna di vederlo dal vivo di recente, sarà d'accordo nel sostenere che questo genio della musica è in forma.

Se ancora si permette di andare in giro a fare show da due ore e trenta non è solo per il suo immenso passato. Ma perchè al contrario di tante vecchie glorie si è sempre saputo rinnovare e ha mantenuto uno stato fisico assolutamente rispettabile.

Francamente dobbiamo ritenerci soddisfatti di come si stà chiudendo una delle carriere più incredibili della storia della musica. Certo, il suo percorso solista non è stato all'altezza della band madre. Era difficile francamente. Probabilmente ci può stare anche il confronto con gli altri Beatles e ognuno chiaramente ha le sue preferenze(personalmente credo che "All Things Must Pass" sia il miglior album solista di un ex beatle). Ma è fuori discussione che McCartney ha confermato in tutti questi anni di essere una perla rara di quelle che nascono una volta. E che forse non potranno esserci più. E questo si, è davvero un grande peccato.

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