L'elettronica è probabilmente il fattor comune che nel mirabilissimo e vastissimo crogiuolo sonoro riesce a mettere tutti d'accordo e, in particolar modo, nell'ambito puramente pop non esiste artista o pseudo-artista che non ne abbia fatto ampio uso. Anzi, negli ultimi anni è in perenne ascesa la tendenza a reclutare djs e producer di settore, tendenza che da un lato ha sfornato piccoli gioiellini e/o autentici capolavori, dall'altro ha replicato una serie di cloni plasticosi in vena di ammorbare i club più trash del globo.

Tuttavia l'elettronica e i suoi numerosi derivati hanno mosso i loro primi piccoli passettini nel mondo underground, prima di essere violentemente fagocitati dalla voracità mainstream e ancora oggi il salto (non sempre di qualità) dai bassifondi dell'ignoto alle piazze proficue delle chart internazionali non è sempre scontato e desiderato. Complici le velleità "alternative" del singolo artista o della singola band poco affini alle prime posizioni, i sound non proprio digeribili dalla massa delle facilonerie catchy e immediate o contratti a nove zeri che tardano a passare sotto la Mont Blanc degli interessati, il mito della genuina creatività underground continua a risplendere sereno e letizio, sebbene non irradiato dalla luminescenza spasmodica di MTV. Ed è così che la "voglia di sperimentare" si fa sempre meno recondita e più manifesta, volta ad esplorare regni sonori ancora non toccati dai palmi e non uditi dai padiglioni umani e a mescolare con geniale bizzarria tutto ciò che è musica, sonorità, vibrazione.

Dicevamo, l'avversione alle classifiche e al poppish in generale. L'esempio che qui riporto prende il nome di Merrill Beth Nisker, alias Peaches. Classe '66, Peaches debutta con il suo nome di battesimo nel 1995 con Fancypants Hoodlum, per poi inaugurare la stagione dell'attuale pseudonimo con l'iper-underground The Teaches Of Peaches e Fatherfucker, album in cui una curiosa androginia estetica accompagna pari passo un complesso, nonché audace mix di electroclash, grime, hip-hop e synth-punk spinti all'estremo. L'ultimo in analisi, I Feel Cream, risale al 2009 e mostra un andamento un po' meno "alternativo", tuttavia maggiormente gustabile e assimilabile da chi non riesce ad abbandonare del tutto gli sterminati deserti dance-pop. Dal lindo territorio electro-underground Peaches strizza l'occhiolino verso l'Europop (non standardizzato), l'electropop glam-glitch e i synth revival a braccetto con la sempreverde new-wave, senza comunque scordare del tutto le origini punk-electroclash e trance-grime foriere dei precedenti The Teaches Of Peaches, Fatherfucker e Impeach My Bush.

In questo simpatico cofanetto di eterogeneità e diversificazione c'è solo l'imbarazzo della scelta: accanto ai synth dark - culminanti in una "catarsi" techno-house - di Mud, al grime pompato e sincopato di Billionaire abbiamo l'electroclash bollente rappato in Mommy Complex, i synth minimali e selvaggiamentee "sputati" di Serpentine, le improvvisazioni funky-dubstep in Trick Or Treat e la succulenta techno-disco revival di More. Menzione, infine, per il grime/hip hop grezzo e cupo di Take You On e la sinfonia ambient-trance per Relax.

Un ponte fra underground e mainstream, un'autentica chiave di volta fra il facilmente fruibile e la maggiore complessità dell'alternative: così si presenta I Feel Cream all'aguerrito ascoltatore, convinto di potergli fornire un prodotto non standardizzato a mo' di pastone insipido, una confezione musicale fatta apposta per scoprire le altre sfaccettature di un genere fin troppo abusato e inflazionato.

Peaches, I Feel Cream

Serpentine - Talk To Me - Lose You - More - Billionaire - I Feel Cream - Trick Or Treat - Show Stopper - Mommy Complex - Mud - Relax - Take You On

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