Un flusso. Un flusso continuo di note che si accavallano l'una sull'altra, senza rispetto le une per le altre, distorsioni che fanno del post-core la loro ragion d'essere, reminescenze sludge-doom opprimenti e destabilizzanti, squarci stoner come lacrime che cadono, muri di suono che si innalzano per trasformarsi in bisbigli, tensione apocalittica e pacificazione lirica, atmosfere drone-ambient che offuscano ogni parola, ogni respiro, ogni pensiero. E sopra il cielo, chiaro come non mai e paradossalmente dalle tinte temporalesche, sempre in tensione, un via vai di nuvole che spuntano da ogni dove come nella meravigliosa copertina. Il viaggio.
The Fire In Our Throats Will Beckon The Thaw è il degno successore di quell'Australasia che tanto aveva scaldato i cuori di ogni post-core fan e ne aveva costituito la necessaria premessa. Ed anche qui nessun facile cedimento alle vocals, ma sola e pura musica strumentale che è come perdersi in un oceano infinito, rischiando continuamente di affogare nella schiuma.
Eccolo, il nuovo album, ed io ve lo recensisco in anteprima, a quasi due settimane dalla sua uscita, il 12 Luglio. Un sogno, letteralmente. Ero tra quelli piacevolmente colpiti da Australasia, forse proprio per questo non riuscivo davvero ad immaginare che razza di album avrebbe tirato fuori la band la volta successiva. Cosa potevo aspettarmi, ci ho provato, ma senza successo. Meglio così, perché la sorpresa di quello che mi sono trovato dopo tra le mani è stata ben più gratificante di ogni sterile previsione.

The Fire In Our Throats Will Beckon The Thaw, dal titolo kilometrico, è un album se possibile più ostico del suo predecessore, necessita insomma di essere assimilato in maniera molto più lenta e parcellizzata, occorre coglierne ogni sussurro, ogni singolo riferimento a ciò che ha da dire. L'alternanza tra caos distruttivo e ritorno della speranza qui diventa totale (come in "Autumn In Summer"), con un uso della psichedelia molto più sfacciato che in passato, un intriso di sensazioni che vanno dall' annichilimento al più spensierato ottimismo. Davvero straordinario. Canzoni che crescono sulle loro stesse gambe, dalle durate improbabili (un inizio di 9, 10 e 20 minuti, una fine di 4, 4 e 5, un intramezzo di 11) man mano che procedono rischiano sempre più l'implosione su se stesse. E' assolutamente inutile tentare di fare un parallelismo tra i vari pezzi, che vanno unicamente presi ad ascoltati senza possibilità di descriverli nel dettaglio. Un solo riferimento voglio fare, e si tratta di "March To The Sea", brano da cui è stato anche tratto un singolo come gustosa anticipazione: una lunga suite di 20 minuti che è vera perdita dei sensi, della concezione del tempo e dello spazio, se si riesce a viverla nel modo che più le si addice. Una spirale di suoni che viaggiano tra chiaroscuri continui, tra oppressioni sludge ed atmosfere che cedono all'ottimismo. Ma il vero cuore pulsante del brano è lì, dopo i primi 7 minuti. La batteria inizia ad ingrossarsi sempre più, sollevando la polvere, battendo continuamente, come se quelle bacchette fossero i remi di una barca perduta in mezzo all'oceano che tenta disperatamente di tornare a riva. La chitarra sotto bisbiglia, si ingrossa anche lei. L'atmosfera diventa catartica, trascendente, sacrale, liturgica. Fino all'annientamento dovuto alle distorsioni, che chiudono il tutto in un lento finale acustico: il capolavoro dell'album.

Non so chi di voi conosca i Pelican, chi ne ha sentito parlare o chi non li ha mai ascoltati in vita sua, ma questa è una band che ha realmente qualcosa da dire. E a voler essere equilibrati, The Fire In Our Throats Will Beckon The Thaw è un disco da ovazione. Pensateci su, prima di snobbarli.

Elenco tracce e video

01   March Into the Sea (20:28)

02   Angel Tears (Justin Broadrick remix) (12:24)

03   Angel Tears (James Plotkin remix) (06:35)

04   Sirius (demo) (05:06)

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