Immaginiamo il peso della responsabilità che Peter Gabriel deve aver avvertito quando Martin Scorsese gli ha affidato la colonna sonora del film "L'ultima tentazione di Cristo". Missione quasi impossibile: rappresentare in musica la Passione di Cristo, in più sottolineando il conflitto interiore tra la sua divinità e la sua umanità. Alle sue spalle, lontanissime nei secoli, ma incombenti come gigantesche montagne, le due monumentali Passioni di Johann Sebastian Bach (secondo Matteo e Giovanni). Solo la musica per esprimersi, quindi nemmeno la possibilità di avvalersi di testi illuminati come fece Fabrizio De André con la sua "Buona novella".

Sia come sia, lo smarrimento deve essere durato poco perché ciò che è venuto fuori è il capolavoro assoluto di Peter Gabriel, un'opera che va molto al di là dell'originaria funzione di colonna sonora, assumendo un significato più profondo, quello di autentica musica sacra, termine che di solito viene inteso in senso classico, associato a solenni organi, maestose corali e celestiali arie di voci soliste. Ma nel 1989 nulla impediva ad un musicista curioso e sperimentatore di provare a fare musica sacra con mezzi completamente diversi, e Peter Gabriel di materia prima per questo lavoro ne aveva accumulata parecchia, fin da quando il suo interesse si era rivolto alle musiche del cosiddetto Terzo Mondo, in particolare a quella africana. Musiche di terre in cui la Passione, nel senso di sofferenza, è talmente presente e costante da non avere neanche bisogno di essere rappresentata. L'elenco degli strumenti etnici impiegati in quest'opera è impressionante: soprattutto percussioni (tamburi "sordi" o parlanti, marocchini, dell'Africa nera, brasiliani, tabla indiane ecc.) e strumenti a fiato (flauti Ney turchi, doudouk armeni o curdi, arghul egiziani ecc.).

Non scherza neanche la lista delle diavolerie elettroniche impiegate da Peter Gabriel per combinare questi suoni naturali in perfette alchimie, anche se non di rado la voce di questi strumenti viene lasciata volutamente "nuda" proprio per preservarne la magia primitiva. E' il caso del tema curdo di "Lazarus Raised", un lamento senza tempo che affiora in mezzo a due possenti pezzi ritmici ("Of These, Hope"), o della sublime nenia armena che apre l'iniziale "The Feeling Begins" che poi, secondo uno schema inaugurato fin da "The Rhythm Of The Heat", si evolve in un impressionante crescendo di percussioni africane. Non pochi episodi di questa Passione sono in crescendo: inizio tetro o lamentoso, comunque lento, poi grande climax percussivo. Ma la varietà dei temi e delle voci strumentali rende ogni pezzo un gioiellino ben riconoscibile, e alcuni particolarmente preziosi. Per esempio "Zaar", raffinatissimo intreccio tra il magico violino di Shankar e cristalline percussioni orientali, è roba da "Mille e una notte": sembra veramente di essere in una città araba al crepuscolo, con le prime stelle che brillano tra i minareti. Puro impressionismo anche in "Sandstorm": viene voglia di ripararsi dalla sabbia che arriva addosso. Culmine della sofferenza é "Passion", con i disperati vocalizzi di Nusrat Fateh e Youssou N'Dour che sembrano combattere contro una tempesta di malvagi tamburi. Il trionfale e liberatorio scampanio degli strumenti di "It Is Accomplished" evoca come meglio non si potrebbe la Resurrezione. "With This Love" è l'unico brano che rispetta i canoni della colonna sonora, sia nella versione orchestrale che in quella corale, ma Peter Gabriel indovina una melodia così ispirata e commovente da non farci nemmeno accorgere che in fondo si tratta di un corpo estraneo.

Ognuna delle 21 stazioni di questa Via Crucis meriterebbe una lunga fermata, ma non c'è spazio. Si può dire solo che se Peter Gabriel diventerà immortale, senza nulla togliere agli altri splendidi dischi, lo dovrà a questa irripetibile opera.

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