Ci sono dischi che mi sorprendono come il primo tepore primaverile: "The Sons Of Intemperance Offering" di Phil Cody è uno di questi.

Quale sia la storia di Phil Cody, chi siano i musicisti che lo accompagnano, cosa abbiano fatto prima o dopo, non mi è mai interessato, perché questo è un disco che basta a sé stesso. Perché in una giornata di primavera, non mi pongo questioni.

A chi le questioni se le pone, riferisco che, per i critici, questo disco gravita nella galassia no-depression, che ha negli Uncle Tupelo i suoi iniziatori ed esponenti di maggior spicco.

Per me, è più una questione di mainstream americano rivisitato, come lo hanno fatto a meraviglia i Jayhawks di "Hollywood Town Hall", od i Counting Crows di "August And Everything After" ad uso e consumo delle masse ma con misurata eleganza, o la Dave Matthews Band di "Before These Crowded Streets" nel peggiore dei modi possibili.

Di grazia, in questo disco Phil Cody propende decisamente verso Jayhawks e Counting Crows, suonando musica bella e semplice - in una parola, onesta - non rifuggendo gradevoli atmosfere easy e di facile presa e, per fortuna, confinando in un angolo rare elucubrazioni senza capo né coda.

Dentro ci stanno tante cose: la fisarmonica di «House Of Lust» così come la corale acustica di «Unmarried Ladies»; il puro e semplice divertimento di «Hats Off» ma anche la malinconia di «Stages»; le atmosfere rock di «Solana Beach» e quelle country di «The Loneliest Girl In The World»; la ballate elettro-acustica «All The Way My Lover Leads» e la soffusa «Scream At The Blackbirds»; la bella ripresa della clashiana «Straight To Hell»; e tanto altro.

Senza essere un capolavoro, uno di quei dischi che decisamente mettono di buon umore.

Almeno con me, funziona.

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