Testi al limite dell'assurdo e del nonsense, pezzi a tratti ripetitivi a tratti sempre cangianti, ritmiche "sballate", fiati deliranti.
Questa è la musica del "Picchio dal Pozzo", formazione ligure che riprende il sound di Canterbury più pazzo e indomabile (per quel pochissimo che ho sentito, potrei paragonarli ai Gong). Infatti quest'album, "Abbiamo Tutti i Suoi Problemi", è un delirio free jazz, talmente strano che si potrebbe considerare una ciofeca. Stavo quasi avvalorando questa ipotesi, quando ho ascoltato un'altra volta l'album e ho notato che mi sembrava diverso dalla prima volta. Mi trovo qui a recensire il disco perchè so che se lo ascolterò altre volte mi sembrerà sempre diverso, non lo capirò meglio. Ci sono tracce più aspre e altre più melodiche, altre ancora inclassificabili. Appartiene all'ultima categoria "La sgargianza", divisa in 4 parti distaccate fra di loro, tranne la terza e la quarta che sono unificate. La prima ha un andamento veloce ed etnico, la seconda invece è proprio nevrotica (lo dice lo stesso testo "C'è in giro una tale nevralgia...") e la terza e la quarta sono basate su strani accordi di uno strumento sconosciuto (tastiera, chitarra, non lo so). Traccia difficile è "I problemi di Ferdinando", non ritmata dalla batteria e caratterizzata da fiati e tastiere giocattolesche piuttosto scoordinati fra di loro. Qui l'andamento è lento, ma il ritmo è completamente assente. Ecco, in questo senso, credo che il "Picchio dal Pozzo" sia l'opposto dei "Quintorigo": se questi ultimi sanno tenere il tempo anche senza batteria; i primi, anche con l'ausilio delle percussioni, vanno completamente a cazzo di cane, credo volutamente. Il pezzo non è uno dei miei preferiti perchè tutto sommato è ripetitivo.
Una traccia bellissima e più ordinata è "Moderno ballabile", che parte con un ritmo lento per diventare più veloce. La canzone è lunga dieci minuti e verso i sette interviene la voce accompagnata dalle tastiere. Ma secondo me il capolavoro del disco è "Strativari", che giocherella col nome dei violini. La batteria c'è e non c'è, il basso fa da filo portante per gli altri strumenti, i sassofoni impazziscono, la tastiere trovano il loro momento migliore, compare anche il flauto, è il tutto si fonde in una composizione assurda e cruda, con rari momenti di equilibrio musicale. La pseudo-suite "Mettiamo il caso" è un'avventura nel jazz-rock melodico, che parte con chitarre acustiche e cantato strambo ma delicato e prosegue con un ritmo più accellerato, con violini, ancora chitarre acustiche, fiati (che non mancano mai) e liriche surreali. Uno dei pezzi più calmi e melodici di tutto il disco, che rilassa dopo la massiccia dose di free jazz drogato. La bonus track "Uccellin del bosco" ha una ritmica regolare e veloce, è un testo stupido (avete capito bene, non geniale, ma rincoglionito), ed è piacevole perchè non confonde ulteriormente il cervello. Un disco stranissimo, a tratti ridicolo, che si differenzia dallo stantio sottobosco del progressive Italiano, prima di tutto perchè di progressive ha solo la propensione ad andare fuori dagli schemi.
Insomma, un disco che può essere riassunto con una frase: "Per fare un album come questo bisogna drogarsi, per ascoltare non bisogna drogarsi, ma dopo averlo ascoltato viene voglia di farlo! :-D" Consigliato agli amanti della musica estrema, altrimenti potrebbe risultare troppo ostico. Ciao ciao ciao a tutti quanti!
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