Ciao ragazzi, di ritorno dalla mia breve vacanza, oggi avrei voluto parlarvi del genere erotico medievale, o, meglio, "decamerotico", diffusosi in Italia a partire dei primi anni '70 con titoli di non scarso rilievo, ma, riflettendo bene sulle radici di questi film e sui loro illustri antecedenti, sono stato un po' folgorato sulla via di Damasco, ed ho ritenuto utile soffermarmi, per voi, su Pier Paolo Pasolini (1922-1975) ed in particolare sul suo film "Il Decameron" ('71), di cui si tratterà a seguire.

Vi confesso che, da amante della cultura popolare, ho sempre guardato a PPP con molto rispetto ed attenzione, anche se certe sue prese di posizione mi lasciano non poco perplesso. Mi spiego: tutto il suo attacco verso lo sviluppo, verso l'inurbazione e la perdita del contatto del sottoproletariato con le proprie radici agricole e pastorali, verso la morale corrente, come pure al "fascismo eterno" (di cui potete leggere ne "Le lettere luterane"), denotano un temperamento battagliero ed intellettuale, ma, al contempo, una sorta di debolezza psicologica di fondo: quasi che il buon vecchio PPP attaccasse sì le idee e l'Italia contemporanea (pure quella di oggi in fin dei conti, nostra contemporanea), ma, parimenti, mettesse in scena un pubblico parricidio ed una autoanalisi: lui, figlio dell'alta borghesia e di una padre ufficiale dell'esercito legato a doppio filo con il Regime (Carlo Alberto Pasolini); lui, affezionato al mondo contadino oleografico e da villeggiatura - ignaro cioè della vita agra dei villici meglio nota ad un Olmi -; lui, che cantava le lodi del sottoproletariato e si ergeva ad educatore nelle pagine di "Gennariello", ma, al contempo andava a "regazzini" nei viali delle periferie della capitale alla guida della sua macchina ultimo modello.

Insomma, un personaggio scisso e da psicanalizzare, magari entrato un po' nel mito a causa del suo tragico martirio.

Vi chiederete perché il buon Il_Paolo vi ha fatto tutto questo panegirico a mo' di introduzione al film che oggi andiamo a recensire: perché nella ambigua biografia di PPP possiamo trovare anche la spiegazione del suo cinema, trattandosi di cinema a tesi, votato sempre a dimostrare qualcosa, nella fattispecie le idee di PPP circa il sesso e la sua mercificazione.

Ed il "Decameron" è proprio un film intelligentemente ambiguo, e forse, un po' ipocrita, come il suo regista.

Liberamente tratto dalle novelle di Boccaccio (ma l'azione di svolge a Napoli) ed inscenato in maniera estremamente cruda e volutamente volgare, senza sconti e mediazioni, il film dipinge la libera sessualità dei protagonisti, priva di sovrastrutture e giocosa, come una reazione alla morte, al deperimento, ed, per traslato, alla massificazione culturale, a quell'idea "fascista" che ci vorrebbe tutti uniformi ed uniformati rispetto alla collettività. La vitalità dei corpi, la nudità, appare dunque, da un lato, come ritorno dell'individuo allo stato primigenio ed alla natura incorrotta, e, dall'altro, come forma silente di rivoluzione nei confronti di tutto ciò che rappresenta la morale corrente, il benpensare, la conformità ad un modello che si rivela, tutt'al più, come una forma di ipocrisia.

Va tuttavia osservato, anche alla luce di una più competa visione dell'opera di PPP, come dietro questa libera sessualità, non a caso riecheggiante metaforicamente lo spirito post-'68 e la liberazione dei costumi, il regista d'origine bolognese abbia intuito anche qualcosa d'altro, ovvero il rischio di una nuova forma di "reazione". Ovvero: se, inizialmente, l'affermazione dell'individuo come essere libero, anche sessualmente, può portare ad una vera e propria palingenesi, il rischio è quello di massificare le stesse scelte sessuali, rendendole una moda, una tendenza, e, dunque, l'espressione di una collettività indistinta: esiti ultimi di questa prospettiva stanno nella stessa idea di pornografia, ovvero nel mercimonio dei corpi, ridotti a bene di consumo, a vera e propria carne da macello, come PPP avrebbe ben chiarito nel successivo "Salò".

Il sesso come liberazione, ma la liberazione malgovernata come prodromo per una nuova restaurazione, mediante la stessa mercificazione dei corpi, sembra dirci PPP facendo il moralista (se anche avesse razzolato bene, sarebbe stato meglio, pure per lui, poraccio).

Ed al riguardo ci potremmo chiedere se proprio il genere "decamerotico" che da questo film prende abbrivio, volgarizzandone il messaggio e riducendolo anzi ad estetica del "nudo", non abbia forse confermato le tesi che emergono in nuce dal lavoro di PPP. Tesi ancor meglio confermata se pensiamo come illustri attrici "decamerotiche" - prima fra tutte la tedesca Karin Schubert - negli anni '80 avrebbero preso la finale china del cinema hardcore, che nelle sue implicazioni soft costituisce un altro grande filone del nostro cinema, almeno negli anni '80 (pensate a Brass ed epigoni).

Dal punto di vista tecnico il film risulta piuttosto interessante, sia per la scelta di una rappresentazione non mediata e per la solita preferenza di PPP per attori non professionisti (salve le comparsate di Citti, Davoli, la mitica Angela Luce e la grande Silvana Mangano), sebbene io non ritenga il nostro come un vero regista, quanto come un autore ed un letterato che utilizzava la cinepresa come prolunga della parola. Ma sono opinioni, sia ben chiaro.

In sintesi, gli amanti della Cultura con la "C" maiuscola potranno vedere questo film per deliziarsi dei pensieri di uno dei massimi feticci intellettuali dell'ultimo novecento (specie dopo la sua Morte ed il pullulare di allievi inconsapevoli ed inconsapevoli nipotini), mentre gli amanti - come me - del vecchio e semplice cinema all'italiana - potranno ben comprendere come, dietro certo cinema di genere, ci sia pure la speculazione intellettuale, ed anche "er dibbbattito".

Dunque: 3/5 in scala DeBaser e 2/5 per gli amanti del "decamerotico", qualche buon nudo si vede pure qui, ma è troppo annacquato nella brodaglia della Cultura.

Popolarmente Vostro

Il_Paolo

Carico i commenti... con calma