Con “L’Ultimo Girone”, ultimo tour dei Litfiba, è calato per sempre il sipario sulla gloriosa avventura della band fiorentina nel mondo della musica.

Trentaquattro date per celebrare quarantadue anni di onorata carriera rock, che non hanno però esaurito in Piero Pelù la voglia di stupire e stupirci. Il ragazzaccio di Via de’Bardi, dopo aver vissuto un periodo particolarmente difficile della sua esistenza, tra depressione e acufeni, torna con un nuovissimo album solista: "Deserti".

Successore di “Pugili Fragili” del 2020 e secondo protagonista della “Trilogia del Disagio”, "Deserti" è un concept album intenso e profondo, scatenato ed introspettivo.

Ancora una volta Pelù mette in evidenza la sua intenzione di dare un significato profondo alle sue creature, tramite una narrazione a tappe. Ciò che non si può contestare al frontman fiorentino è la coerenza, soprattutto quando si analizzano gli argomenti trattati nelle sue canzoni.

"Deserti" è un lavoro di grande impatto, fa riflettere e incazzare, sospirare e sorridere. Ci sono tutte le contraddizioni del nostro tempo, la povertà dei contenuti, la solitudine e il turbamento, che lasciano comunque la porta socchiusa alla speranza. I deserti sono emotivi e calpestando la loro sabbia rovente si provano a mettere a nudo le nostre fragilità e debolezze, circondati dal nulla, ben consci di essere soli.

Ci imbattiamo in riff potenti e graffianti, percussioni che strizzano l’occhio all’hard rock più vivo e non mancano a tratti neanche i sintetizzatori. Piero ha attinto qua e là e sui ritornelli possiamo trovare similitudini con il rock contemporaneo e i mostri sacri del passato.

Capiamo subito di che pasta è fatta la tracklist con la prima traccia, “Picasso”, scanzonato e scatenato inno all’autostima. “Novichok” e “Canto” gridano Litfiba fin da subito. La parola “Novichok” fa riferimento al veleno utilizzato in Russia per eliminare figure scomode e non mancano, nei refrain del pezzo, esplicite espressioni solidali rivolte al popolo ucraino (“la nostra pelle è gialla e blu”). “Maledetto Cuore” è una splendida rock ballad e non manca la critica sociale con “Tutto e Subito” ed “Elefante”, quest’ultima più melodica rispetto alla compagna di intenzioni ma complice nell’esternazione di pensieri sinceri.

In questo esplicito clima di denuncia sociale, trova la miglior collocazione possibile “Il Mio Nome è Mai Più”, versione acustica riproposta in occasione del venticinquesimo anniversario del celeberrimo singolo, risalente al 1999 ed eseguito in origine dal trio LigaJovaPelù. Le strofe non sembrano invecchiate di un giorno, vuoi per il vizio reiterato dell’uomo di perdersi in inutili guerre ma soprattutto per il sound ad oggi ancora molto attuale.

“Baby Bang” nasce dalla collaborazione con i Calibro 35, rock band strumentale milanese, che non tradisce la propria attitudine, dando al pezzo sonorità cinematografiche anni Settanta. Il cantato, guidato da un allegretto spinto da fiati forsennati, rende il pezzo davvero particolare ed avvincente.

“Baraonde” e “Scacciamali”, piene zeppe di riff di pregevole intensità ed esecuzione, anticipano la chiusura tramite una massiccia dose di ottimismo e buoni auspici, ad esorcizzare le sofferenze, le malattie e l’ondata irrefrenabile d’odio. Il sipario cala con la titletrack “Deserti”, armonicamente pervasa da sonorità elettroniche sperimentali, che sembrano voler raffreddare le sensazioni provocateci da un disco dal quale ci congediamo davvero soddisfatti.

Non è ingeneroso affermare che il progetto solista di Pelù annoveri qualche inciampo di troppo tra le sue pubblicazioni. Sicuramente senza Ghigo Renzulli la musica è cambiata parecchio ma esistono comunque tanti episodi degni di nota, come quest’ultimo in particolare.

“Deserti” è un disco sincero e senza paura. Si sa, la sofferenza e le difficoltà ispirano gli artisti e qui c’è tanta voglia di ripartire, nonostante il tempo lasciato alle spalle predicherebbe altro.

Piero Pelù e le sue sessantadue primavere non temono l’avvento delle future stagioni. Direi che la cosa è evidente e non può che far piacere al rock del Belpaese.

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