La suite "Echoes" pur essendo il brano principale di "Meddle" è posto a chiusura dell'album (nell'LP copre con i suoi 23 minuti tutta la seconda facciata): è giusto, troppo efficace e di fascino immediato "One Of These Days" per non metterla in pole position su "Meddle".

Storicamente è una suite, nel senso che nasce da "pezzettini" musicali composti distintamente che poi i Floyd si sono sforzati di unire, però ci sono riusciti così bene che non essendovi bruschi cambi d'atmosfera o di ritmo ma piuttosto continue evoluzioni musicalmente è da considerare una canzone, seppur dilatata all'inverosimile. È il 1971 e i Floyd da alcuni anni (esordio discografico fantasmagorico nel 1967 con "The Piper At The Gates Of Dawn" capolavoro assoluto della psichedelia) stanno cercando di darsi una direzione musicale adeguata al fatto che Syd Barrett e la sua visione musicale così peculiare non ci sono più.

Attraverso un secondo disco di chiara transizione ("A Saucerful Of Secrets") con ancora diverse idee ed esecuzioni di Barrett, una colonna sonora ("More", ottima) come terzo, un autocompiacente e un pò tedioso quarto album doppio metà dal vivo e metà in studio ("Ummagumma"), un quinto della serie "lo famo strano" dove le genialità (la copertina con la frisona, il pezzo "If", alcuni passaggi della suite) si mischiano gratuitamente a forzature (gente che si cuoce due uova in cucina, fanfare di ottoni alla Morricone, Gilmour che vergognandosi di cantare il primo testo da lui composto, lo fa in maniera ridicola...) approdano finalmente alla forma musicale che più si addice loro e che li renderà miliardari: il pezzo atmosferico spaziale in tempo lento, buono per i musicisti, gli intellettuali del rock, i fuori di testa, ma anche per i distratti, i superficiali, i canzonettari. Sembra una critica ma è un pregio, assoluto.

Provaci tu a fare della musica semplice, tranquilla anzi si può dire moscia, condita di effetti effettucci ed effettini, e riuscire a farla arrivare a TUTTI, anche a mia mamma. Ad "Echoes" manca un'unica componente per considerarla parte integrante dell'epoca d'oro dei Pink Floyd: un valido testo. Waters ancora non ha messo a fuoco la sua vena poetica, nella suite si narra di paesaggi sottomarini... fantasia insomma ed anche grossolana, niente a che vedere con i perfetti distillati di rabbia, ironia, realismo, visionarietà che prenderanno il largo col successivo "Dark Side Of The Moon".

"Echoes" parte con un suono di piano elettrico filtrato dall'amplificatore a tromba rotante "Leslie", raggiunto ben presto in assolvenza dal tappeto di organo e dalla slide di Gilmour che inaugura un tipo di sequenza di cui i FLod finiranno per abusare: ancor oggi Gilmour per l'inizio il suo ultimo "On An Island" non ha trovato di meglio: chitarra effettata su tappeto "spaziale", combinazione riuscita al meglio su "Shine On You Crazy Diamond". Dopo l'intro, arriva il cantato di Wright, con Gilmour in armonizzazione, bellissimo. A differenza dell'abusato stile di intro di cui dicevo prima, quasta combinazione vocale che non si ripeterà più nelle successive, celebri, opere dei Pink Floyd che vedranno alternarsi il dolce e pieno timbro di Gilmour o l'afono, spesso lacerante urlo di Waters. È una sorta di "ballata atmosferica" in cui la Stratocaster di Gilmour lavora bene e fa ancora meglio quando il pezzo si evolve in una jam session sincopata. Il chitarrista svisa pentatonico, accompagnato dall'inimitabile timbro di organo Hammond per qualche minuto di... blues alla Pink Floyd.

Il tutto progressivamente, precipita in un pozzo, anzi un abisso di effetti dato il tema delle liriche, con Gilmour che si produce in efficaci imitazioni del verso dei gabbiani facendo scorrere il suo pezzo di metallo sulle corde della Strato, ma poi si "ritorna", in assolvenza ripartono gli strumenti suonati normalmente, a cui si è aggiunto un grosso bordone di Synt VCS3, che culmina in una gigantesca fanfara di chitarre elettriche in arpeggio (quattro chitarre) che conducono alla ripetizione del cantato da parte della stessa coppia Wright/Gilmour. Due parole su Nick Mason: mai sentito un batterista "tirare indietro" più di lui, eppure anche il suo limitato stile è parte imprescindibile del suono e del fascino Pink Floyd. Dopo di esso, ancora suggestive, struggenti note di chitarra, progressivamente affondanti nella marea di effetti che "monta" e chiude il pezzo.

Per gli amanti dei Floyd (la maggioranza, me compreso) "Echoes" è uno sballo, forse il pezzo preferito. Per i detrattori, una noia notevole.

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