Trentacinque anni fa quattro ragazzi inglesi tennero a Pompei il più grande concerto della storia, e manco a dirlo il pubblico non c’era.

Fino a qualche anno fa quando sentivo nominare i “Pink Floyd” mi balzava agli occhi l’immagine di quel tipo dai lunghi capelli che intonava forse la più bella melodia che mai avessi sentito, con quel microfono che pareva quasi distaccato dal resto della scena e il vento che gli copriva la bocca con i suoi capelli biondi, in un arena deserta di gente e stracolma di suoni.

Era stato un mio amico d’infanzia a farmi vedere quel video, e devo ammettere che nonostante al tempo ascoltassi Gigi D’Alessio, ne rimasi più che colpito, e nella mia ingenuità fantasticavo le cose più assurde, e mi dicevo: “Ma che stanno facendo questi quattro?... Mah, forse stanno registrando l’essenza della musica terrena su uno speciale nastro da inviare nello spazio sperando che qualche sconosciuta forma di vita lo trovi e ne faccia tesoro… Oppure servirà alle generazioni future, e verrà conservato in qualche bunker sotterraneo in Groenlandia…”.

A quel tempo non conoscevo le droghe. Col passare degli anni sono venuto a conoscenza di molte cose: che quel tipo si chiamava David Gilmour, che la melodia che intonava (e che per me resta ancora la più bella mai sentita) era il cantato di “Echoes”, che quel microfono era parte della spaventosa attrezzatura che i quattro trascinavano dietro nei tour in giro per il mondo, che quel vento era parte integrante della scenografia, che l’Arena era quella di Pompei (non un posto sperduto in culo al mondo, Pompei, diamine, dietro l’angolo!), che quell’Arena non era proprio deserta, ma oltre a loro quattro c’erano i vari tecnici di supporto e dei ragazzini che riuscirono ad intrufolarsi di nascosto (e beati loro), che quei quattro erano il più grande gruppo musicale mai esistito sulla faccia della Terra, che nei loro intenti non c’era nulla di tanto tecnologico-futuristico o extraterrestre (almeno penso), e infine capii che Gigi D’Alessio faceva (e fa) cagare.

Poi è trascorso un altro po’ di tempo e siamo arrivati a stasera: mi è venuta voglia di rivedermelo quel concerto, ma prima ho voluto buttare giù due parole, che non vogliono essere una descrizione del concerto perché sarebbe comunque incompleta, né una descrizione delle mie sensazioni perché sarebbe impossibile metterle per iscritto, ma semplicemente una breve parte della mia storia con i Pink Floyd.

Non un concerto qualsiasi, signori… IL CONCERTO!

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