Mi sono reso conto, leggendo le recensioni su DeBaser, che chiunque osi scrivere qualche cosa fuori dal coro su alcuni lavori che secondo molti hanno fatto la storia della musica, come in questo caso, incorrono in parecchie malevolenze barra maledizioni dal muro oltranzista dei fan dell'artista in gioco. Bene, sono quindi preparato alle copiose critiche, spero no agli insulti, che arriveranno anche se mi attendo, magari illudendomi, qualche indulgenza da parte chi, pur amando questo gruppo, consideri l'ipotesi che qualcun altro possa sollevare alcune perplessità. Per quanto mi riguarda cercherò di argomentare il più possibile quanto andrò ad affermare in modo che almeno possiate concedermi l'attenuante dell'onestà intellettuale. Quanto riporto in seguito lo scrissi più o meno uguale qualche tempo fa, se ne trovate traccia in rete sappiate che ...sono sempre io il colpevole.

Non parlerò specificatamente dei vari pezzi presenti sull'LP definitivo, su quelli si è probabilmente discusso fino alla nausea e recensori ben migliori di me hanno già provveduto a riguardo, ma piuttosto dello spirito originario su cui si fondava il lavoro, tradito non certo per troppo amore.E' con questo animo che mi accingo quindi a recensire un "presunto capolavoro" ipotizzandone anche il "lato oscuro", vale a dire che i Pink Floyd, proprio con questo disco, si sono venduti al mercato e, aggiungo io, con una percezione e lungimiranza davvero encomiabili.

Appartengo dunque alla decisa minoranza che considera "DSOTM", se non certamente brutto, un disco poco onesto che segna indubbiamente la prematura scomparsa del gruppo che si chiamava Pink Floyd, non a livello innovativo, perché d'idee, con alti e bassi, è pieno questo disco come i successivi fino almeno a "The Wall", ma piuttosto scomparsa intesa come tradimento di quell'icona psichedelica che il gruppo stesso era diventato per gran parte dei suoi sostenitori, incluso fino ad allora anche il sottoscritto. Non è stato un passaggio indolore, anzi è stato soffertissimo ma senz'alcun dubbio meditato e, proprio per questo, da perseguire con maggiore acredine. Perché dico meditato? Perché dall'originale stesura, che addirittura era un singolo pezzo e non una suite, fino alla definitiva incisione su disco sono passati ben due anni; due anni di travaglio in cui il gruppo dapprima tentoni, poi sempre più scientificamente ha provveduto ad una trasformazione "on the road" della suite fino ad avvallare il prodotto finale sulla base delle reazioni del pubblico. In parole povere i Pink Floyd hanno fatto con anni d’anticipo quello che il cinema americano ha adottato come regola di base grazie alle proiezioni test cui sottopone una campionatura di pubblico eterogeneo dove, secondo le reazioni alle scene visionate, il film è modificato e molto spesso vengo girate nuovamente alcune parti ad uso e consumo del piacere dell'utente finale. Questa mossa potrebbe persino spiegare, o perlomeno indicare la reale motivazione della longevità in classifica di questo disco nel corso dei vari lustri a seguire.

Andiamo con ordine: "The Dark Side Of The Moon" era stato partorito come singolo pezzo dalla mente di Roger Waters nel 1971 e solo dopo una lunga discussione con Nick Mason fu presa la decisione di trasformarlo in qualcosa di molto più corposo che avesse la struttura e le dimensioni di un LP. La prima esibizione dal vivo fu tenuta a Brighton il 20 gennaio del 1972 con il titolo provvisorio di "Eclipse", ma un guasto tecnico costrinse il gruppo ad abbandonare dopo appena 20 minuti quindi si può cronologicamente asserire che la prima data mondiale in cui la prima stesura di "the dark" venne suonata in pubblico fu al Rainbow Theatre di Londra il 17 febbraio dello stesso anno; questa prima versione di DSOTM era sicuramente molto più psichedelica quindi molto più ancorata al precedente stile "pink". Il tour mondiale che ne seguì fu strutturato per rilevare le percezioni del pubblico modificando di conseguenza la struttura dei brani; ad esempio "The Great Gig in the Sky"che originariamente era chiamato dal gruppo "The Mortality Sequence" era agli albori uno strumentale costruito sul piano elettrico di Richard Wright e nei primi concerti veniva addirittura proposto insieme a sovraincisioni di letture sacre recitate da Malcom Muggenridge. La trovata non riscontrò assolutamente i favori della folla tanto che fu velocemente messa da parte. Parallelamente, anche se con minore evidenza, anche tutti gli altri brani venivano inevitabilmente mutati, concerto dopo concerto, intensificando sempre di più l'uso di diavolerie ed effetti elettronici che invece riscontravano i favori del pubblico pagante.

Gli ultimi concerti giapponesi servirono ad oliare quella potente macchina da soldi che si stava costruendo; nonostante tutto ciò, l’ostinata perseveranza alla ricerca della "perfezione" non sarebbe bastata, da sola, a dare la dimensione definitiva che ebbe in seguito il lavoro. Qui entra in gioco un personaggio fondamentale, oggi troppo spesso dimenticato, ma che allora aveva avuto enormi riconoscimenti che quasi lo elevarono a membro onorario del gruppo per meriti speciali; mi riferisco a quel modesto compositore, ma genio assoluto degli effetti speciali nonchè brillante tecnico del suono che risponde al nome di Alan Parsons. Alan riprese in mano il lavoro semi definitivo e rivoltandolo come un guanto, ovviamente sempre sotto la supervisione del gruppo ne delimitò i confini fisici, per l'epoca assolutamente....metafisici. Si può dedurre tutto ciò ascoltando uno degli ultimi concerti di questo tour esplorativo, chiamiamolo così, tenutosi a Sapporo il 3 dicembre 1972, in altre parole un mesetto prima della registrazione su vinile. Esiste a tal riguardo un cd uscito in edicola da parte della Fabbri Editori che pubblicò la registrazione, ovviamente illegale, di quel concerto. La struttura di DSOTM era già plasmata ai voleri dell'ascoltatore, ma non ancora forgiata, smaltata e tirata a lucido come si sarebbe potuto in seguito apprezzare sul disco ufficiale. Questo diamante grezzo è stato quindi ripulito e cesellato di fino da Alan Parsons; si potrebbe obbiettare se si fosse trattato di diamante grezzo o semplicemente di zircone, ma qui potremmo andare avanti per ore a discutere ed entrambe le tesi sarebbero egualmente valide ed opinabili.

Resta però il fatto che "the dark" non è un disco onesto, ma un disco di comodo, una specie di prova generale su come si sarebbe in seguito sviluppato il mercato musicale fino agli scandali dei giorni nostri. Quindi solo per questo unico motivo considero quest'album "pericoloso", " falsamente innovativo" e sicuramente spartiacque tra la genuina ispirazione di un artista o di un gruppo e la bieca legge di mercato che cominciava a muovere i primi passi.

I Genesis con la fuoriuscita di Peter Gabriel e soprattutto con quella di Steve Hackett sono riusciti a fare ben di peggio solo alcuni anni più tardi.






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