Ci sono momenti in cui la nullafacenza può rivelarsi totalmente sconvolgente e, straordinariamente, gratificante.

Come per magia  mi sono concesso dieci minuti di nulla assoluto. Niente stress, niente mattonate lavorative, niente trip mentali da fottere il cervello. Dieci minuti a singhiozzare la cecità del mondo decadente girovagando tra i video più sciocchi della rete. Youtube: macchina infernale, quanto fonte di incredibili meraviglie. Skippando le arance rompicoglioni tanto in voga, sono finito in un impeto improviso. Tra gli atoni click, tra le vuote ricerche e tra i video correllati spunta Miss. Harvey, e con una canzone che mai avevo sentito nominare: "Let England Shake".

Ero in crisi mistica. Mi fiondai sui miei cd targati Polly in cerca della fantomatica traccia, ma come pensavo non compariva. Una primula rossa. Una b-side? Una ratrità? Una cover?

La dovevo smettere con le pippe e partire. Premere play verso il paradiso.
Velocemente, sull'infernale google, scopro l'arcano: è un inedito portato da Pj l'anno scorso in tour. Un inedito che potrebbe far parte nel prossimo, ipotetico album. Fui vorace, distruttivo. Un elefante in una cristalleria.

Parte. Euforia alle stelle.

"Take me back to Constantinopole...
No, you can't take me to Constantinopole..."

L'incipit è già monumentale. Ad aprire le danze c'è un sample retrò swingjazzato (tratto dallo standard swing "Instanbul (Not Constantinopole)" dei The Four Ladies) e già quando si è rapiti dall'inusuale bellezza di tanto danzante vintag, ecco che appare una Polly in punta di piedi che ti stravolge il tutto, proponendo una splendida, magnifica ballata d'altri tempi che sembra un po' blues e un po' medievale da diventare involontariamente prewar-folk. Non preoccupatevi: questo è un folk diametricamente diverso rispetto alle movenze eteree ed ultraterrenee di quel magnifico, sottovalutato gioiello che fu "White Chalk". Qui Polly non è la vittima, è tornata ad essere la carnefice, ma in toni decisamente moderati. E' un folk graffiante, struggente, che termina in un radioso tam tam di sensazioni, dove la Polly canta il suo stesso sample. La gioia in tre minuti e ventisei, per intenderci. 

Deliziosa quanto perversa, maniaca e ammaliatrice, "Let England Shak" è una Pj Harvey intima, ma suggestiva: la sua anima incastonata in una nuova prospettiva che sa di fascino. 

Una canzone che è manna dal cielo, anteprima di un album che comincia già a farmi rodere le budella nell'attesa. Sarò anche di parte, ma per ora, alla domanda: "Sarà un capolavoro il prossimo disco?", risponderei di sicuro: "Visto l'assaggio, c'è una buona probabilità che lo sia".

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