Può sembrare anacronistico recensire un album così di nicchia e non proprio recente (si parla del 2003), ma il quinto appuntamento del progetto Plastikman del geniale musicista Richie Hawtin ha lasciato il segno, e continua a farlo, specie nel mio iPod, quindi direi che una recensione è quantomeno doverosa.

Closer arriva 5 anni dopo il capolavoro "Consumed", in un periodo dove sembrava l'autore avesse abbandonato questo side project techno minimal per i suoi lavori più dancefloor oriented. La pianificazione stessa sembra un'equazione matematica, di fatto è il 5° album con questo pseudonimo ed anche uno dei più difficili da valutare. Gli ascoltatori più navigati hanno capito subito che si tratta di un unico pezzo in dieci movimenti, per una lunghezza totale di 75 minuti. Un viaggio interminabile, simmetrico, alienante e freddamente calcolato. E' un disco perfetto? Dipende dai punti di vista. E' molto difficile parlare di difetti, ma piuttosto di effetti, quelli cioè pianificati cinicamente dal musicista australiano. Anche questo, come gli altri, è un prodotto di minimal techno fedele alla scuola di Detroit, ma allo stesso tempo il risultato rappresenta un picco tutto di Richie, non c'è nient'altro di paragonabile sul mercato, allora come oggi. Un disco difficile, per menti avventurose che amano il genere, ma soprattutto riconoscono la legittimità della musica elettronica isolata dal contesto dance. Chiamatela IDM o come volete, ma quella di Richie è ancora un'altra pasta, disciplina digitale che richiede l'accettazione della monotonia come elemento intrinseco della rappresentazione artistica. Bisogna stare al gioco ed abbandonarsi alle proprie emozioni, il campo di gioco è tutto nella nostra testa, come più volte spiegato dall'autore, il minimalismo è un risultato, non un espediente, ottenuto dalla decostruzione estrema della musica.

Il disco si apre con la cupa "Ask Yourself", dove è presente la tanto discussa voce filtrata di Richie, nei panni di malefico Cicerone di questo malsano viaggio. L'effetto non mi è dispiaciuto affatto, nonostante le critiche, più che collante rappresenta uno spiraglio di disperata umanità sul gelido costrutto delle macchine. Si parla di stati d'animo, relazioni amorose, masochismo, che in un certo senso, o da certe menti refrattarie a questa musica, potrebbe rappresentare metafora dell'ascolto di questo disco. La prima parte si dipana sull'onda di un inaspettato ecelttismo, "Mind Encode" recupera le librerie di Consumed, come in un sinistro follow up, "Lost" svolta addirittura sull'ambient facendo largo uso dei nuovi pad allestiti da Richie. Texture inaspettamente corpose, in grado di creare grande atmosfera, e che culminano con la strepitosa "Disconnect". Da qui inizia la parte centrale, rappresentata da "Slow Poke", "Headcase" e "Ping Pong", 30 minuti circa di suoni al minimo sindacale, l'estrema e ricercata monotonia, bleeps, cellulari e beat prosciugati per uno scenario totalmente disumanizzato, alienante, angosciante. Questa è la parte più debole del disco, se non fosse che si tratta di un'operazione scrupolosamente pianificata per condurre l'ascoltatore alla suite finale, i 30 minuti rimanenti di "Mind In Rewind", "I No" e "I Don't Know" contrappongono una ricchezza totalmente antitetica, di scala epica, dove ritronano i suoni dei primi album (compresa la T-303) e lo stesso senso di meraviglia di "Consumed". Un basso persistente accompagna tutti e tre i pezzi, sui quali Richie assembla complicati e ipnotici edifici sonori. Una geometria algida e implacabile che però riesce a risolvere brillantemente tutta la frustrazione e le aspettativa maturate nella parte centrale. E' possibile avvertire praticamente tutta la discografia precedente, tutte le tappe che hanno caratterizzato il prgetto Plastikman, facendo intendere chiaramente come questo ne rappresenti la tappa definitiva.

In pratica è una compilation che non suona come tale, dove l'eclettismo si muove e anima una struttura omogenea, indipendente e compiuta. Pochi artisti al mondo possono vantare una simile abilità. Questo forse non rende Closer un'opera perfetta, certo non un disco pensato per piacere a 360 gradi, ma rimane il parto di una mente geniale, in grado di ispirare su livelli multipli, una gran bella avventura per coloro che posseggono le giuste coordinate sensoriali. Richie adesso è pronto per tornare ad animare i dancefloor più sfrenati con la sua martellante techno, a noi restano queste opere imperscrutabili, seducenti sirene nel nostro sconfinato oceano mentale.

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