1999. Dopo tre anni di vuoto dall'ultimo, celebrativo, "Amici x sempre", vuoto colmato dal Best del 1997 e da una raccolta di rivisitazioni dei primi anni della loro carriera, i Pooh tornano alla carica con un nuovo prodotto di inediti, dal titolo neutro: "Un posto felice". Infatti non c'è una title-track né tantomeno un verso che citi il titolo del disco, che presenta come tema dominante l'amore. Si parte con "Se balla da sola", singolo che spopolerà nella primavera-estate di quell'anno, dove ancora una volta si mette in luce il valido alternarsi di voci nelle strofe e la coralità del ritornello. I magnifici quattro si concedono poi uno spazio a testa. Comincia Roby con la melensa "Mi manchi", che riprende a tratti "La donna del mio amico" e si inserisce nel filone sentimentale del Camillo di Bergamo, tocca poi a Dodi con "Quando lui ti chiederà di me", brano dolce che ha evidentemente ispirato (un po' troppo per non parlare di plagio) il Gigi D'Alessio di "Non dirgli mai". Seguono quindi Red, con un'altra delle cosiddette "Canzian song", serie di brani iniziata con "Stare senza di te" e proseguita con "Cercando di te", che è "Io ti aspetterò", tra le migliori del disco con splendido solo di Dodi Battaglia; e Stefano, con la mediocre ma di successo "Dimmi di si", un punto basso del loro repertorio, al limite del trash. Ci pensa ancora Red a riportare l'album a livelli accettabili ed apprezzabili con "Ricostruire un amore", in cui la voce del Bruno di Quinto di Treviso è calda ed emoziona, e il Donato di Bologna fa il resto. Ritornano quindi Roby e Dodi, ovvero l'ossatura principale dei Pooh, i più bravi strumentalmente e creativamente rispetto agli altri due, con il dovuto rispetto. Il primo con "Sogno a mezza estate", che fa da controparte a "Mi manchi" in quanto più allegra (e anche qui Dodi si concede un assolo intrigante dei suoi!), e con la nostalgica ma energica e non malinconica "Eravamo ragazzi", abbastanza riuscita. Tra le due canzoni c'è appunto Dodi, con la soffice "Quel che non si dice", brano comunque nella media. A chiudere di nuovo la coralità e l'alternarsi delle strofe, in quello che è il miglior pezzo dell'album e uno dei migliori della loro sterminata produzione: "Ventimila leghe sopra i cieli", parafrasi del romanzo di Jules Verne in cui si descrive un mondo a più soli e senza tempo. Forse "Un posto felice" è riferito all'ultima traccia di questo lavoro, senza infamia e senza lode, che chiude gli anni '90 della più longeva band italiana insieme ai Nomadi. Il fatto che lo Stefano di Roma canti in un solo brano lascia col senno di poi intravedere la stanchezza del batterista, che dieci anni dopo lascerà. Il successivo "Cento di queste vite" aprirà gli Anni Duemila e sarà migliore di questo. Simpatica ma forse non troppo esplicativa la copertina.

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