Ben conscio degli strali che il qui presente recensore si beccherà, sfido la sorte e parlo bene, anzi benissimo, di un disco dei Pooh. Che poi è l'unico disco dei Pooh del quale parlerei bene (lo giuro, Vostro Onore), anche perchè, causa un amico, un amico vero, da sempre in fissa con i Pooh, me li sono sciroppati tutti, e mediamente mi fanno un po' tutti schifo, salvo qualcosa qui e là (Parsifal) ma poca roba. I Pooh degli anni '70, va detto, avevano una loro dignità, erano musicisti ottimi (non eccelsi, nel prog di quegli anni giravano musicisti migliori, pensate agli Osanna o al Banco, per dire due gruppi a caso, ma anche i Pooh si difendevano bene). Poi, con l'arrivo del synth e degli anni '80 si sono persi in dischi improponibili (di quel decennio c'è da salvare molto poco); negli anni '90 l'istinto di conservazione li ha mummificati in brutte copie di ciò che furono; oggi girano gli stadi e i palasport come i nonni girano, rincoglioniti, nei meandri dell'ospizio. E così abbiamo inquadrato i Pooh (o quel che ne rimane, il povero D'Orazio ci ha salutati qualche anno fa).
"Viva" è una felicissima, e sorprendente, eccezione. Anno: 1979. Vengono dal successo del precedente "Boomerang" (1978) che vendette a pacchi, sentono intorno a loro crescere (a dire la verità era cresciuta già da un po') la disco-music e si buttano a capofitto in sala di registrazione (di questo album è presente su Youtube una specie di dietro le quinte circa la lavorazione, che è molto interessante, poi certo i Rolling Stones avevano Godard, ma vabbè). Ne esce un disco terribilmente (nel senso buono, sia detto) pop, con qualche svisata rock e molto disco, quasi come se avessero filtrato più stili in una volta. Mica gli è successo molte volte, anzi mai. E' suonato benissimo (gli assoli di D'Orazio, ah...), ricorda qualcosa che è molto poco italiano e molto Usa (il singolo "Io sono vivo" cita i Bee Gees), ha dei begli assalti rock-pop ("Tutto adesso"), finalmente le canzoni d'amore sono meno melense e con più ciccia ("Una donna normale"), i ritornelli convincono ("Notte a sorpresa") e riescono persino ad essere convincenti quando raccontano del merlo indiano di Red Canzian ("Susanna e basta") in senso antropomorfo (e un bell'assolo di chitarra soregge il brano). Ovviamente, in un disco molto "vivo", appunto, non puo' passare in secondo piano l'escalation della celeberrima "L'ultima notte di caccia" che è, a mio modesto parere, il pezzo migliore dell'intera carriera dei Pooh. Che sia un miracolo (batteria, chitarra, basso: tutto funziona a meraviglia) lo dimostrano gli stessi Pooh, ripetendone in qualche modo la struttura nel disco successivo col brano "Inca": una ciofeca, puah.
Si chiude in bellezza con la title-track, un brano strumentale con qualche effetto speciale, giusto guizzo artistico dato che all'epoca i Pooh mettevano in piedi degli show dal vivo che, visivamente, avevano pochi eguali al mondo e nessuno in patria, musicalmente si poteva eccepire (qualcuno li definì i Pink Floyd italiani, lasciamo correre...).
Dieci brani di cui almeno 7 di livello, incredibilmente, altissimo, e un terzetto meno efficace ("In concerto", che chiude la facciata A, è una lagna), ma, a partire dalla raffinata copertina molto '70es, è un disco, nel suo mondo, nel suo genere, nel suo tempo, letteralmente impeccabile.
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Altre recensioni
Di Lord
Ascoltate il disco, magari scordandovi il nome del gruppo ed i loro volti: un perfetto esempio di "alta classifica-alta qualità".
"L'ultima notte di caccia" è a detta di chi scrive la migliore prova mai composta e registrata dai nostri.
Di Valeriorivoli
Tutti abbiamo avuto nella vita un momento Pooh.
La poesia pura di versi come 'L’inverno va nei pesci a primavera, il mio segno è un corpo che respira...' un giorno si studierà a scuola.