Nessuno come i Popol Vuh ha rappresentato l'animo religioso del rock, non i sermoni del "Christian Rock", non i tormentati appelli a Dio che di tanto in tanto fanno capolino nei testi di molte band e molti cantanti. E' la musica ad essere specchio del percorso religioso del gruppo tedesco, in particolare del suo leader, il compianto Florian Fricke, seguendone il cammino in profonde meditazioni e rivestendosi di tutta la poliedrica umanità dei suoi componenti.

Una dimensione spirituale, quella dei Popol Vuh, che era già emersa nei solchi di "In den Gärten Pharaos" (in particolare nel lungo, evocativo mantra per organo "Vuh") ed era sfociata in un capolavoro intimista ed estatico come "Hosianna Mantra", un album sicuramente senza eguali in tutto il panorama rock. Come reazione a quel capolavoro datato 1972, Florian Fricke, forte dell'ingresso in organico nei suoi Popol Vuh del vivace batterista/chitarrista Daniel Fichelscher (già attivo con gli Amon Düül II di "Carnival in Babylon" e "Wolf City"), aveva cercato nei successivi "Seligpreisung", "Einsjäger Siebenjäger" e "Das Hohelied Salomos" il modo di esprimere una spiritualità più concreta e terrena, con risultati alterni.

In "Letzte Tage - Letzte Nächte", invece, il risultato viene pienamente raggiunto con un espediente che, considerata la discografia dei Popol Vuh, è quantomento singolare: Fricke, infatti, pur trattenendo per sé il ruolo principale in fase di composizione, si fa da parte in fase di esecuzione, riducendo al minimo i suoi interventi al pianoforte (ora acustico, ora elettrico) ed affidando un ruolo centrale alle chitarre e alle percussioni di Fichelscher (che, fra l'altro, collabora alla stesura di tre degli otto brani che compongono questa raccolta). La musica, di conseguenza, acquista corpo e spessore, dando definitiva credibilità all'umanità e alla vivacità che Fricke stava cercando. Basta ascoltare il "Kyrie" e paragonarlo all'omologo brano comparso su "Hosianna Mantra" per rendersi conto dello scarto: dove nella versione del 1972 il piano di Fricke e le chitarre spaziali (allora di Conny Veit) creavano luoghi aritmici sospesi in una dimensione al di fuori di qualsiasi spazio-tempo, qui il piano si limita ad introdurre fraseggi ritmici e ciclici di chitarra fino ad un finale dal sapore decisamente "americano"; anche la voce del soprano Djong Yun, presente su entrambi i dischi, prende corpo ed abbandona il cantato-quasi-sussurro dei precedenti album per mostrare sostanza e sensualità in un mantra coinvolgente e liberatorio. E non potrebbe essere altrimenti per un album che si apre con una traccia come "Der große Krieger", dove una chitarra dai toni oscuri si muove poi, per arpeggi meditabondi, verso territori che finiscono per ricordare i Pink Floyd di fine anni '70, se non addirittura i primi U2.

Sicuramente, "Hosianna..." rimane al di sopra di qualsiasi altra prova dei Popol Vuh, ma i brani di "Letzte Tage - Letzte Nächte" rimangono comunque episodi piuttosto felici e vibranti, l'incarnazione più rock che il gruppo abbia mai avuto, mantenendo una signorilità ed un'efficacia esemplari. Per rendersi conto di quanto positivo sia quest'album, basterebbe ascoltare il fascino di "Oh, wie nah ist der Weg hinab", che inizia con fraseggi fra l'orientale e il nativo americano per poi aprirsi in una sezione epica che ospita un lungo assolo di chitarra, bello come una preghiera di ringraziamento, o anche di "In deine Hände", stupendo inno introdotto da un meraviglioso cantabile che mischia fascino orientale e tradizione bavarese e si evolve poi bucolico con un sapiente uso di segmenti ciclici e minimali di chitarra in successione.

Indimenticabili rimangono anche "Dort ist der Weg" e la conclusiva title-track. Nel primo caso siamo di fronte a quello che forse è il brano più rock di sempre dei Popol Vuh: riff decisi, sempre minimali e sofferti a disegnare una melodia di fondo che non spiacerebbe ad una Carol King, a cui si aggiunge la voce di Renate Knaup (sì, proprio lei, in uscita a sua volta sempre dagli Amon Düül II) in gran spolvero, con gustosi cenni hippy, mai così dolce ed espressiva. "Letzte Tage - Letzte Nächte" (la canzone) è invece un inno dolcissimo e liberatorio all'amore, retto sugli arpeggi di Fichelscher e l'intreccio commovente delle voci di Yun e Knaup, fino ad una coda strumentale che pare suonata dal vivo su un palco di un qualsiasi festival rock.

Tornando, quindi, con i piedi per terra, i Popol Vuh ci regalano un album che, se non è un capolavoro, comunque ci arriva vicino, ricco di musica "salvifica", che fa bene al cuore e sembra quasi indicare una strada. E' musica che parla da sola dell'esperienza di una vera vita, che sa anche guarire, e alle cui note è bello affidarsi.

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