Una stazione ferroviaria vuota, il fischio del treno, una partenza, ricordi di lei che già sembrano lontani, un paesaggio che da periferia metallica si trasforma in campagna silente.
È l'ennesimo viaggio fisico-mentale, uno dei tanti che tutti siamo costretti a fare prima o poi, dove la malinconia fa da padrona e dove nonostante tutto ci piace lasciarci abbandonare.
Steven Wilson ormai è una sicurezza in quanto a malinconia fatta musica e parole e lo dimostra anche in questo lavoro di metà carriera, dove ogni singola traccia risulta essere un piccolo percorso dentro le sinapsi del proprio cervello, senza cercare risposte ai propri dubbi, malesseri o eccitazioni, riuscendo a far compiere anche al fortunato ascoltatore lo stesso cammino interiore, come un novello Virgilio col proprio Dante di turno..
In "In Absentia" quasi non ha più senso parlare di prog o di metal o di psichedelia o di elettronica, tanti sono ormai gli strati sonori che compongono ogni brano, che Wilson padroneggia ormai a proprio piacimento, creando una sorta di attesa dietro gli angoli di ogni singola canzone.
Esempio perfetto è "Trains", pezzo di una bellezza infinita e capolavoro non di un album ma di un intera carriera, e risposta perfetta contro tutti i possibili detrattori dei Porcupine Tree, in passato spesso accusati di essere degli epigoni dei Pink Floyd, e di dovere molto, se non tutto, alla band di Gilmour e soci. Qui (come in altre perle tipo "Heartattack In A Lay By" o "Prodigal") è chiaro che ormai la componente psichedelica è stata assimilata, rivoltata e sputata fuori in una forma assolutamente personale, rendendo il gruppo capace, dopo i primi dischi d'esordio, di essere al tempo stesso profondo e orecchiabile, quasi "pop" in certi momenti.
Un piacere quindi per la mente, ma anche per la tecnica e per la melodia: il raggiungimento di una tale complessità di intenti per una band ormai libera di volare...
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