L'OMBRA DEL PECCATO. 

"Prima di uscire, porta via la spazzatura in cucina.." Sorride con sarcasmo la mia amante e cliente, Phyllis Dietrichson. La "spazzatura", nel gergo del nostro contratto privato, era tal Mister X di cui avevo visto la vecchia foto grigia e nulla più. Una sagoma nell'oscurità di un salotto spento, tutto quello che potevo saperne di lui povero Cristo. Perché nel mio lavoro, spesso, le informazioni assumono un valore relativo, conta il ‘quando' e ‘come': il ‘chi' è una meccanica abitudine nelle clausole di un accordo firmato con il sangue. E col denaro, naturalmente. Meno conosco, meno implicazioni, meno problemi e talento sprecato. Un lavoretto sbrigativo ed efficace, come al solito. Aspetterò, nella penombra del salotto, la familiare sagoma che s'avvicina. Cercando di non macchiare la pelle chiara del divano, e le tende di raso. L'ho promesso a Phyllis, e Tommy Udo mantiene sempre le sue promesse a una bella donna. Camera 94-97, giro la chiave nella serratura e osservo le stanze vuote nell'appartamento buio. Mi siedo, accendo una sigaretta scivolosa mentre nel fumo regolo il volume, in sottofondo, dell'Hi-Fi. Prendo un disco dal ripiano sporgente, in copertina una grossa ‘P' su sfondo celeste. Inserisco nel lettore, e noto le undici tracce sul retro.

Un nastro dal passato introduce il ritmo percussivo, oscuro di ‘Silence' attraversato dalla voce magnetica di Beth Gibbons e dai ricami post della chitarra. La cantilena noir ‘Hunter' è un sospiro lieve nell'angoscia, sfregiata sovente da scosse d'elettrica. Tuoni che spezzano in due il cielo, nero di pioggia e sofferenza. ‘Nylon Smile' ha il passo elettronico circolare e sostenuto dei teutonici Tarwater, ‘The Rip' trasforma in un crescendo di morbide tastiere un delicato arpeggio bucolico. L'incedere ossessivo di ‘Plastic', tagliente e glaciale sui torbidi toni della vocalist spostano le lancette del tempo agli esordi del mitico ‘Dummy'. Nell'ipnotica e mutevole ‘We Carry On' la creatura bristoliana tenta di smarcarsi da etichette e abiti sonori di un decennio fa, diventa altro e concretizza nelle repentine e violente mitragliate industrial del martello pneumatico ‘Machine Gun', nella breve melodia del sussulto folk ‘Deep Water', nei lampi psycho-rock della liturgica ‘Small' e nel ricordo trip-hop trasfigurato all'oggi della conclusiva e magnifica ‘Threads'. Undici anni, undici tracce, undici piccoli motivi al presagio di un nuovo capolavoro.

"Third" dei Portishead spiazza, e bagna nelle cupe acque dark\industriali l'amato e iconografico sound del trio di Bristol. L'atmosfera chiaroscura d'un tempo ora è plumbea, angolare, spietata. La stupenda voce in apnea di Beth Gibbons rimane l'inconfondibile marchio di fabbrica, le trame inedite del deus-ex-machina Geoff Barrow e di Adrian Utley alla chitarra co-protagonista sospingono questo terzo memorabile lavoro in un ambiente angosciante e complesso. Ma di un fascino estremo, unico.

La porta si apre, silenziosamente. La sagoma mi guarda stupita: "Scusi, ma chi è lei, cosa vuole in casa mia.." Pallido di terrore, fissa la canna del mio silenziatore. Un buco in fronte, neanche un grido, nessuno che abbia visto o sentito, le pareti immacolate senza la benché minima macchia rossa. Vado nella cucina, devo prendere le grandi buste scure per i rifiuti. Sono Tommy Udo, faccio il killer a pagamento. "Prima di uscire, porta via la spazzatura in cucina.." Certo, cara.

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