Ricordo quando, all’età di due anni (o meglio: brandelli di memoria mi raccontano, perché effettivamente a due anni non puoi ricordare ndr) ascoltavo L’"Ave Maria" di Gounod, o il Largo di Handel e piangevo. La mamma non si capacitava, e mi chiedeva. “Alessandro, cos’hai?” Ma io continuavo, finché la musica non andava in fade out e io non trovavo pace.
Oggi, che di anni ne ho 48, con “Desire As” dei Prefab Sprout accade lo stesso. Certo, ho più dominanza degli scenari della mente, ma se per un attimo lascio che la mia essenza si permei con quella della musica e si scinda, le lacrime scendono e nemmeno me ne accorgo. Direi che sto invecchiando, ma sarei in contrasto con quanto appena raccontato.
Non succede solo con Paddy McAloon, chiaro. Anzi: i suoi primi lavori sono spesso talmente intricati che spesso l’orecchio è distratto, impegnato a decifrarli, scomporli e ricomporli, seguirne il testo paranoide e affranto, il più delle volte.
Sia messo agli atti, non mi sono mai sentito all’altezza di recensire “Steve McQueen”. Una volta un utente me lo chiese, uno di voi che di solito mi commenta, ma io Dio Onnipotente non ricordo i vostri nomi, vi siete dati dei nomi strani, Lector, Pector, MecranzaMec, Deriango, poi c’è IlConte che violenta ogni cosa che scrivo, Annette che non ho capito se è un ermafrodita o cosa, vabbè, qualcuno me l’ha chiesto. Dicevo: credo sia ridondante, già recensito da qualcuno con le palle, allora ho pescato la versione americana, “Two Wheels Good”, (perché laggiù la progenia di Steve McQueen è insorta e ha stracciato le vesti: guai a voi!) e cerco di farlo in uno dei rari momenti in cui sono sobrio e le dita scorrono più o meno bene sulla tastiera.
Va beh, no, mi sono rotto i coglioni, recensitevelo voi.
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