Chocolate King: l’apice musicale della P.F.M. Era il lontano 1975 e il gruppo italiano era nel massimo dello splendore musicale. Concerti in tutto il mondo e riconoscimenti di pubblico e critica per un gruppo che suonava come pochi; unico difetto la voce. I vari Di Cioccio, Pagani, Mussida e Premoli, al canto, lasciavano a desiderare. Dopo l’approccio e le prove effettuate con Ivan Graziani, resisi conto che la voce di Ivan non era congeniale alla band perché troppo esile e quindi non idonea al muro sonoro incredibile del gruppo, decisero di chiamare Bernardo Lanzetti, proveniente dagli Acqua Fragile, gruppo prodotto dalla stessa Premiata. Questo tassello va a completare in maniera incredibile l’organico della band e con Bernardo incidono Chocolate Kings, secondo il mio modesto parere, il massimo concentrato di musica creato dalla Premiata.
I componenti del gruppo, con questo disco, prendono le distanze dal poeta Krimsoniano Pete Sinfield, autore dei testi in inglese degli album precedenti Photos of Ghosts e The World became the world, perché gli stessi ritenuti troppo distanti dagli originali, lasciando il compito (tranne Out of the Roundabout scritto da Lanzetti) al grande Mauro Pagani. I testi sono molto critici verso il sistema Americano e questo, oltre al concerto tenuto a Roma in favore dell’O.L.P. e recensito da un giornalista di “Billboard” << PFM supports P.L.O.>> crea al gruppo molti problemi in quel paese dove il disco viene addirittura boicottato (c’è da ricordare che in America il disco uscì con la copertina raffigurante una barra di cioccolato con la bandiera americana accartocciata).

Il disco si apre con From Under, un brano molto ispirato dove il gruppo mostra sin da subito i muscoli e la grande tecnica esecutiva. I testo è contro tutti i meccanismi giudicati reazionari dal sistema: dalla mistica contemplativa orientale, al revival degli anni ’50, dai cantanti marionetta manipolati dall’industria e confezionati per addormentare il pubblico, fino all’ultimo amico del sistema, l’eroina, per dimenticare e morire. Il finale musicale è tutto di Franz che suona sui tamburi come un treno.
Il secondo brano è quello che preferisco: Harlequin. L’inizio musicale è tipicamente mediterraneo con l’acustica di Mussida che infonde dolci note mentre va ad intrecciarsi al basso di Djivas. La parte centrale è ricca di rock scoppiettante con le soliste di Pagani e di Premoli a dir poco velocissime con scale molto difficili. Il testo parla del risveglio delle coscienze rappresentate dall’Arlecchino. In chiusura si accenna alla sagra del maggio del ’68.
Il terzo brano è quello che da il titolo al disco: Chocolate Kings. Qui Mussida ha unito una sorta di tarantella che riallaccia l’episodio alla tradizione di È Festa anche se le difficoltà corali del brano sono lontane dalla “semplicità” di È Festa. Il testo del brano è ancora più chiaro e critico contro l’America (“adesso tu ed io conosciamo la grande e grossa mamma che ci ha preso in giro….. e tu non vuoi buttare la vita per un paradiso di cioccolato, vuoi rimanere vivo”). Nel resto del testo si parla anche dei soldati americani (re di cioccolato) che vanno in giro a fare guerre portando con loro le barrette di cioccolato da distribuire ai ragazzi dopo le morti che lasciano sul campo.

La seconda facciata si apre con un altro brano eccezionale: Out of the Roundabout. In questo brano Francone ha congegnato dei suoni con giochi strumentali (specie tra chitarra e tastiere) veramente effervescenti. Arpeggi velocissimi e soliste di Hammond da rimanere senza fiato. Il testo, con perspicacia, parla degli sbalzi climatici, di come stiano cambiando le stagioni, quello che in effetti stiamo vivendo oggi. Chiude il disco Paper Charms, un brano bellissimo e struggente, con un inizio da sogno e nel quale si parla delle rovine che provoca l’uso dell’eroina. Pagani, con questo testo, supera se stesso per come riesce a dipingere i falsi paradisi.

“Quando lontano sembrò volassimo chiamando vita un cucchiaio di zucchero, il dolore era un uccello da combattere lanciando piumati attaccaticci aquiloni nella notte. Conoscemmo la sete, conoscemmo il dolore, imparammo a camminare. All’uomo che cercava di drizzarsi in piedi dedicammo le nostre più belle canzoni, per l’uomo che agitava i pugni componemmo le ultime canzoni…..quanto lontano abbiamo guidato, swan dalla tua evanescente città di carta, il tuo inesistente paese delle meraviglie”.

Un capolavoro. Uno dei brani più ispirati dell’album. Le musiche del grande Mussida, conferiscono al testo un degno affresco: inizio lento per poi passare ad un suono teso, nervoso, rock, con Pagani che infiamma il suo violino di note velocissime. Lanzetti raggiunge, in questo brano, l’apice vocale con dei toni cosi potenti da chiedersi quanta aria possano contenere i suoi polmoni.

Insomma un grandissimo disco. A tutti coloro i quali piace la musica suonata alla grande, questo disco non può assolutamente mancare nella discografia personale. Tutto il sestetto, da Di Cioccio a Premoli, tocca vertici solistici e di insieme che non riuscirà a raggiungere mai più.

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