Curioso constatare, almeno per quello che riguarda i miei ascolti, che in questa prima metà di 2013 due fra le migliori nuove uscite siano parto di due band dalla carriera quasi trentennale. Se i Flaming Lips hanno tolto il tappo alle loro paranoie più nascoste, ricongiungendosi col proprio passato psichedelico degli ’80, i Primal Scream di Bobbie Gillespie li seguono a ruota tracciando un percorso quasi antitetico, espettorando un bolo musicale rabbioso e acido decisamente inaspettato. Inaspettato perché da dopo “Evil Heat” Gillespie & co. avevano iniziato a farsi il verso nei due successivi album, impegnandosi anche nell’autoincensazione del tour nostalgico seguito alla riedizione di Screamadelica.

Potete immaginare la sorpresa a sentire il tiro stracazzuto e il testo al vetriolo dell’iniziale “2013”, 9 minuti e rotti di boogie rock nello spazio, una roba fantastica che si pone a metà fra “Swastika Eyes” e la cover di “Slip Inside This House”, unendo la rabbia del primo alla lisergicità della seconda. E siamo solo all’inizio di un disco che nei suoi quasi 70 minuti segna pochissimi momenti di flessione, soprattutto quando certe ritmiche e suoni richiamano un periodo a me poco caro come gli ’80's di Madchester (il sax orribile di “Goodbye Johnny”, il gospel rock finale di “It’s Alright, It’s Ok”), oppure quando cercano l’assalto sonico ma colpiscono il vuoto (“Hit Void”). Il resto varia dall’ottimo al geniale.

Rock mutante e cibernetico, con tanto di flauto (!?) impazzito (“Culturcide”), tiro funky stradaiolo con basso grasso sotto, ma rovinato da delle trombette 80’s improponibili (“Invisible City”), richiami a XTRMNTR e il suo rock robotico (“Sideman”), ninne nanne drogate (“Walking With The Beast”), brani ipnotici e strega(n)ti (“Tenement Kid”), blues dopati e scheletrici con tanto di Robert Plant ai cori (“Elimination Blues”), e blues al triplo dei giri e con molti addittivi in corpo (“Turn Each Other Inside Out”).

E due brani dall’andamento imprevedibile che valgono acquisto cum laude: “Relativity” che parte come un trip indiano, si trasforma in un martellare indo- industrial fino a metà brano quando tutto cambia in una ballad spaziale alla primi Floyd; “River Of Pain”, chitarra folk e percussioni a introdurre un Gillespie inquietante (molto Massive Attack di Mezzanine), fino a quando trasfigura in un free form freak out fra scampanellii, sax impazziti, accordi aperti. Il tutto sfocia in un parossistico crescendo orchestrale insensato, al cui apice hollywoodiano tutto riparte dalla chitarra folk iniziale. Se non è genio questo, io sono bello come Johnny Depp.

Per farla breve, il miglior Primal Scream dai tempi di XTRMNTR.

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