Raccontare A day at the races significa fare i conti con l'illustre predecessore e le inevitabili scelte derivative sul piano musicale ed esteriore (titoli e copertina), evidenziando però come la musica in esso contenuta sia inattaccabile a livello qualitativo.

Una maestosa intro, che ripresenta le ormai leggendarie armonie di chitarra, ci porta dritti a uno dei classici hard-rock del gruppo, la trascinante "Tie your mother down" (spesso opener in sede live). Il ritmo rallenta con la successiva "You take my breath away", sonata pianistica dal sapore classicheggiante su cui si adagia un'interpretazione sofferta di Mercury. Segue "Long away", rock mid-tempo cantato da May e diretto dal basso di Deacon, il quale torna a mettere in mostra la sua ottima tecnica, con passaggi veloci e sopraffini, in "The millionaire waltz", sorta di walzer-rock (!) con continui di cambi di ritmo, fra delicati momenti pianistici e chitarre distorte (e sentitevi l'invidiabile pulizia di tocco di Brian...).
La seguente "You and I" è un bel brano rock orecchiabile, mentre la 6a traccia non necessita presentazioni, giacché si tratta della celeberrima, pomposa, "Somebody to love" (solo un aggettivo: geniale). Con la pesante "White man" -composta non a caso da May- torna invece la vena hard del gruppo, con una chitarra distorta che la fa da padrona ed un Freddie impegnato a narrarci dell'inopinato sterminio dei pellerossa ad opera dell'uomo bianco! Infine i riferimenti swing della scanzonata "Good old-fashioned lover boy", la stralunata slide-guitar di Drowse (voce:Taylor) e la splendida ballad Teo Torriatte, dotata di un ritornello accattivante cantato in giapponese, prima che le armonie di chitarra apprezzate in sede introduttiva riprendano ad libitum fino a sfumare...

Degno erede o no? La risposta è ovvia.

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