Gli sheerheartattacchiani sono molti, lo sappiamo, e questa recensione non vorrà offendere nessuno se sostengo che questo terzo album dei Queen è, rispetto al secondo, un passo indietro.

Era dopo tutto fisiologico. Canzoni che non avevano trovato spazio in altri album e stesso album composto nello stesso anno di “Queen II” (1974) dicono tutto. Detto questo, S. H. A. rimane in ogni caso un bell’album che, rispetto al suo precedente che trovava la sua forza nel “gioco di squadra” cioè tutte le canzoni nel complesso, si affida al suo “uomo squadra” ossia “Killer Queen” e al suo assist-man “Now I’m Here”.

1) “Brighton Rock”. L’inizio dell’album è ancora una volta affidato a Brian. Chi bene inizia è a metà dell’opera… e che opera! Ma cos’è quella canzoncina da giostra all’inizio? Sarà mica la famosa festa dei confetti che si tiene a Brighton? No, Brian darà sfogo al suo pezzo più chitarristico di sempre con assoli e controassoli che a quell’epoca lasciarono molti a bocca aperta. Ancora i Queen con la letteratura. “Brighton Rock” è un romanzo duro di Graham Greene ma di duro vi è solo rock. Tematicamente narra la storia un po’ buffa e "glam" di due innamorati. Questa canzone è Brian fatto chitarra!

2) “Killer Queen”. Premio Ivor novello come miglior cantante, satira scioccante verso la Regina (o qualcun altro?), canzone di un’ironia unica e un tema musicale che sembra a primo ascolto già patrimonio di un ascoltatore, scintilla di glam! Ragazzi, ecco i Queen e tutta Europa grazie a questo pezzo comincerà a conoscerli. Terza Regina “mossa” dai Queen dopo il secondo album. Pezzo portante. Pioniere assoluto.

3) “Tenement Funster”. Roger Taylor non sta di certo a guardare! Scrive un pezzo molto originale sul tipo molto eccentrico di quartiere, il bullo ma che incarna le trasgressioni di tutti e l’arrangiamento di chitarra del batterista tutto fare dei Queen è molto curato seppur semplice. Molto bella, Roger!

4) “Flick of the wrist”. È davvero un peccato che non ha avuto la giusta fama perché è un bel pezzo anche questo. Vediamo un Freddie lacerato dai continui soprusi dei datori di lavoro e dopo un inizio piuttosto cadenzato, il ritornello si velocizzerà molto con tanto di ottimi e gustosi stacchi di Roger Taylor. Inutile dire che i cori sono sempre perfetti. Sprecato.

5) “Lily of the valley”. Pianoforte, voce, purezza di un fiore innocente, appunto il giglio che strozzerà un poeta (Freddie) errante nei sentieri nell’incomprensione e delirante come un Riccardo III di Shakespeare che scambierebbe il suo “regno per un cavallo”. Dolce nella sua tristezza, triste nella sua dolcezza…

6) “Now I’m Here”. Non è un caso se entrerà nel Greatest Hits insieme a K. Q. Un incipit da chitarra introdurrà un Freddie Mercury che dal vivo svolazzerà più che mai. Rock trionfale e glam. E che versione live di Brian!!! Endless. Più Queen anni '70 di così, i veri Queen, si muore!

7) “In the lap of the Gods”. Il livello del disco comincia un po' a cadere. Mercury decide che la voce vada rallentata per dare appunto un effetto “divino” ma non era di certo una novità. Di mitologico vi è stavolta solo il titolo… e il brano si trascina forse un po' troppo e lento. Enormi falsetti di Roger messi senza senso, a sfoggio diremmo. In "Queen II" tutto era calcolato al millimetro invece. Fa in tempo ad inciampare con stile.

8) “Stone cold crazy”. Ripescata dal vecchio fagotto di anni prima, è un rabbioso rock progressivo con un grande cantato rapido di Mercury. Il titolo significa “totalmente fuori di testa” ma in inglese non esiste tale espressione. Deriva da "stone cold deaf" cioè stonato come una campana. Dal vivo rende più giustizia che sul vinile. Brano in piena sintonia rock di quegli anni che non lascia scampi. Ci si chiede se sono davvero i Queen di S. H. A. quelli che suonano questo pezzo. In effetti, come cronologia, andrebbe messo nel primo album.

9) “Dear friends”. Lagna, lagna, lagna di Brian May. Vi risparmio anche il testo scontatissimo. Ma come si può? Ma come si fa? Perché May cade spesso in questi sentimentalismi (vedi “All dead all dead” in “News of the World”) di poco conto? Questa canzone non è neanche da Mino Reitano. Quando un album bisogna riempirlo con 12 canzoni e alcune di esse fatte in modo così lezioso e banale, ne preferisco 8 ma fatte bene. Decisamente no!

10) “Misfire”. Ecco la ciliegina nel gabinetto! Primo brano scritto dallo “spumeggiante”… Deacon. Perché lo ha fatto? È un pezzo terribilmente elementare sotto il profilo musicale (roba da chitarra alle prime armi), fantozziano come testo e meno male che c’è almeno Freddie che canta benone. I Queen dichiararono che in S. H. A. entrarono quei brani che non trovarono spazio negli album precedenti. Be’, meglio ora che prima… o dopo! Scarso, insufficiente.

11) “Bring back that Leroy Brown”. Ah, un po’ di respiro. Freddie Mercury rialza lo standard con questa divertente americanata anni '30 ben articolata al pianoforte e densa di ben messe allitterazioni che ne enfatizzano il ritmo. Il testo è divertente. Piacerà ai vostri genitori, meno a voi, immagino. Nel complesso, canzone discreta.

12) “She makes me… stormtrooper in stilettoes”. Ancora un Brian da Tavor! Gioca a fare il Paul MCcartney dei tempi peggiori e neanche ci riesce con quella sua voce poco espressiva e assolutamente impresentabile. Brani così lassativi ce ne sono davvero pochi nel repertorio Queen. Posso dirlo? Uno scempio!

13) “In the Lap of the Gods… revisited”. Diversa dalla prima, un inno vero e proprio, l’anthem di chiusura concerto per eccellenza prima della nascita di “We Are The Champions”. Grande ballata, il tema è come al solito l’amore, un po’ ingannato. Abbiamo cori da grande stadio ottenuti con grande efficacia. Erano solo tre voci ma ne sembravano 100. Freddie farà una versione quasi unplugged (solo la prima parte) di questo brano dove tirerà fuori tutta la sua potenza vocale. Uno di quei pezzi dove il grande cantante teneva in pugno una platea intera. Mitica chiusura.

“Sheer Heart Attack” è un album un po’ controverso come abbiamo avuto modo di notare. É fatto di picchi alti ma scivolate allucinanti di stile. Di fatto sarà meno articolato sia dell’album precedente che di quello successivo che guardacaso si somigliano molto in quanto a complessità. Uscito nel 1974, sull’onda del successo di “Queen II” fu giudicato buono e preso singolarmente lo è senza dubbio (grazie a “Queen II” e “Killer Queen” ?). Dobbiamo metterci anche nell'ottica che usciva un album a distanza da un altro ed era un evento mentre noi siamo abituati a procurarci tutta la discografia ma se lo consideriamo oggi, diacronicamente, troviamo alle sue spalle e davanti a lui due bronzi di Riace difficilmente eguagliabili…

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