Dal pianoforte si levano poche note: le vediamo oscillare e sciogliersi nell'aria, rilasciando riflessi prima di svanire. Intorno frusciano suoni, a volte rotolando increspati, e scie digitali in lievi folate, corde di chitarra che vibrano e si dileguano. L'alba di un giorno sognato, il crepuscolo di un attimo sospeso tra veglia ed ipnosi. Ho osservato, negli ultimi anni, molti musicisti intenti ad attraversare l'ipotetico confine tra dimensioni estatiche dai toni "classici" e l'inevitabile inquietudine dei nostri tempi: seduti, a bordo delle loro impalpabili vetture, dinanzi ai tasti bianchi e neri ed avvolti da residui di suoni emanati da macchine, muovono fragili composizioni in zone incerte, apparentemente destinate a congiungersi al vuoto dal quale paiono provenire.

Con questo suo disco d'esordio Rafael Anton Irisarri ci immerge in una sostanza di luminescenza nebulosa e perlacea, favorendo la condizione evocata dal titolo e disseminando di obliqui e fugaci bagliori il breve tragitto che, giunto al suo termine, echeggia ancora un poco. Fluttuando nello spazio emotivo che ha generato, tra attesa e ricordo, in un punto indefinito di questo pomeriggio di settembre.

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