Girato nella prima metà del 1969 e uscito nelle sale tedesche all'inizio del 1970, questo fu il primo lungometraggio di Rainer Werner Fassbinder. Alle proprie spalle, egli aveva un'intensissima attività teatrale, culminata nella partecipazione alle attività del gruppo avanguardistico dell'Action-theater e nella successiva fondazione, da parte sua, dell'Antiteater; per il cinema, aveva girato alcuni “corti”, come “Il vagabondo” e “Il piccolo caos”.

Vulcanicamente sceneggiato, prodotto, diretto e montato dal futuro autore di capolavori come - ne cito solo alcuni - “La paura mangia l'anima”, “Un anno con tredici lune”, “Il matrimonio di Maria Braun”, “Roulette cinese”, “Il diritto del più forte” e “La terza generazione”, quanto al versante delle relazioni fra i caratteri il film, un gelido bianco e nero, s'impernia sulla consueta struttura triangolare fassbinderiana (in questo caso Franz, il protagonista, impersonato da Fassbinder stesso, giunge a condividere la fidanzata, Joanna, ossia una splendida Hanna Schygulla, con un amico, Bruno) in un contesto di malavita (comune ai precedenti lavori dell'artista): prostituzione, furti. Lo potremmo definire un oltraggio dichiarato al modello di cinema hollywoodiano, peraltro già in via di superamento in Europa, in particolare ad opera della Nouvelle vague. Fassbinder è infatti il regista degli estremi e qui lo dimostra più che mai. È come se si presentasse come regista cinematografico con un sonoro schiaffo (evocato da quello stesso schiaffo che nella prima scena il suo personaggio somministra, pressoché gratuitamente, al compagno d'attesa nel salone...): nessuna concessione a una qualsiasi estetica dell'immagine; nessun realismo nei dialoghi, nei gesti; solo provocatorie infrazioni, nel quadro di un ossessivo lavoro di sottrazione che riguarda in più circostanze la ripresa e il suono stesso degli spari, per disancorarsi dal consolidato e consunto modello del noir.

Manca ancora, a questo Fassbinder, la compiuta e lacerante filosofia espressa dalla maggior parte dei film successivi, ma ne incontriamo già i primi bagliori, e la tecnica di realizzazione parla chiaro. Se dovessimo trascrivere le battute di quest'opera, potremmo spendervi una manciata di minuti e poche pagine; le location si contano sulla punta delle dita: una bianca sala, un treno dal cui finestrino si vede scorrere la monotona periferia della città come su di un nastro accelerato, una grigia strada, un labirintico supermercato, una piccola sezione dell'ufficio d'un commissariato, l'esterno d'un negozio che sarà il teatro della sparatoria finale. Di più: mondo degli oggetti e mondo degli umani sono frammischiati, non si differenziano, sono l'uno il supporto al piatto mettersi in scena dell'altro, in un'avventura tragica, destituita d'ogni senso e ideale.

Al pari degli altri personaggi, Franz sviluppa e compie la propria parabola esistenziale nel rapido volgersi di una serie di azioni-chiave, fra coraggiose ellissi, nei tempi enormememente dilatati di un cinema che vuol essere nemico radicale del ritmo, della piacevolezza, della socialità: la prima apparizione di Bruno, la scena della passeggiata dei tre, inquadrata con carrello all'indietro, o quella del supermercato, così provocatoriamente lunghe, sembrano voler sbattere in faccia allo spettatore un interrogativo sulle presunte leggi del cinema, sulla natura dell'arte e, più in generale, sul concetto di limite. Come in tutto il successivo cinema di Fassbinder, non si comunica: per meglio dire, lo si fa, ma essenzialmente tramite la scarna parola che sottende il grido, i vuoti sguardi, la nevrosi espressa da gesti improvvisi; soprattutto i silenzi.

L'opera venne dedicata a Jean-Marie Straub (collaboratore di Fassbinder in quel torno di tempo e fra i seguaci della tecnica recitativa, qui usata da Fassbinder stesso, dello “straniamento”, cioè della distanza degli attori stessi dalle emozioni, teorizzato da Brecht), a Eric Rohmer e a Claude Chabrol, rappresentanti, questi ultimi, della Nouvelle vague. Nel 1990 nascerà in Germania una band che tutti conosciamo, dal nome ispirato a questo film, ma in inglese: i Love Is Colder Than Death.

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