Il mio primo approccio con la musica risale, e vi sembrerà molto stupido, all'epoca in cui per la prima volta mi approcciai ai videogiochi. Era il 1994 se non sbaglio e i miei genitori mi regalarono una console decisamente fuori moda: un Sega Master System II. Una console 8bit, in un'epoca in cui persino quelle 16bit stavano per esaurire la loro linfa vitale. Poco importa. Da quel momento nacque il mio amore per i videogiochi e per le relative musiche composte da veri geni del pentagramma. Pensate al mitico tema di Super Mario Bros, alle musichine techno (bellissime!) di Sonic The Hedgehog, alle magnifiche composizioni orchestrali di tutti gli episodi di Final Fantasy a cura di quel genio di Nobuo Uematsu.

Ora che 15 anni son passati la mia passione videoludica s'è grandemente stemperata mentre quella per la musica s'è mostruosamente dilatata. Capirete il tuffo al cuore che provai allora facendo partire questo disco. "Untrust Us" la mia madeleine electro: parte un piro-piro che sembra direttamente prodotto da una di quelle vecchie console che tanto mi sollazzavano quando ero fanciullo. Ma svanito l'effetto nostalgico mi rendo già conto che questa traccia è molto di più, una vocina vocoderizzata s'insinua e di colpo vengo trascinato dal ritmo ballabilissimo di sottofondo. E più si va avanti più diventa meglio.

Questo primo disco dei Crystal Castles è fatto di 16 tracce di musica elettronica ad altissimo coefficente di danzabilità, tutte composte secondo un amalgama fatto di suoni retrò e tecnologie moderne. Senza contare tra l'altro gli innumerevoli effetti sonori di sottofondo: scoppietti elettronici che sembrano presi da Space Invaders, vocine incomprensibili che sembrano lì lì per dire "Bonus life", scorreggine ultrasoniche, ecc.

Ci sono anche brani meno da dancefloor ma che comunque fanno pulsare la testolina e le natiche, tipo "Good Time", o brani decisamente poppettosi come la magnifica "Vanished". Nella dodicesima traccia "Love and Caring", invece, fa la sua comparsa una voce femminile effettata ed irosa che sembra provenire da un citofono rotto nonché da un disco qualunque degli Atari Teenage Riot.

E poi arriva l'ultima traccia e, come a voler dire "mica stiamo a pettinà le bambole crogiolandoci soltanto in questo coacervo di suoni minimali", il disco si conclude con una soave melodia alla chitarra acustica e un canto con effetto eco molto gradevole. Al che, deliziato, vorresti  premere di nuovo il tasto start, pardon, play.

Insomma, un'ottimo prodotto di musica elettronica da un gruppo che può essere considerato erede dei Daft Punk almeno quanto i Justice o i Digitalism e un acquisto obbligato se apprezzate quanto me questi suoni di "modernariato".

GAME OVER. INSERT COIN.

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