Siamo nel 1973, anno in cui escono dischi memorabili. Fu così che l'esordio di questi quattro squattrinati musicisti inglesi passa quasi sotto silenzio.Ma questo gruppo, formato da Freddie Mercury (voce/piano), Brian May (chitarra), John Deacon (basso) e Roger Taylor (batteria/voce) è destinato a lasciare un segno molto grande sulla musica rock. Parliamo ovviamente dei Queen, e del loro primo disco, uno dei migliori della loro discografia, libero com'è da qualsivoglia interesse commerciale e così fottutamente hard rock.
Si parte subito con un classico:"Keep Yourself Alive", trascinata da un riff micidiale e da un bizzarro assolo (ma ad un orecchio più attento non sfugge la maniacalità della sovraincisioni). Aperto come si deve il disco, i Queen cominciano a sbizzarrirsi con vari generi: si passa dalla ballad "The Night Comes Down" (emozionante e orecchiabile, che per molti di voi ottusi è un difetto) al prog di "My Fairy King" (in cui spicca la tecnica dei 4), dall'heavy metal di "Great King Rat" (uno dei pezzi più aggressivi di tutti i 70s) e "Son And Daughter" (aperta da un riff di sabbathiana memoria) al folk rock di "Jesus" (buon pezzo, ma forse il meno riuscito del platter),da"Doing All Right" (che contiene sezioni pop e altre di puro heavy metal) al proto-punk di "Modern Times Rock'n Roll (con alla voce il batterista Taylor).
Voglio spendere qualche parola in più per il capolavoro del disco, "Liar", che ci fa capire il personalissimo modo dei Queen di fare hard rock.Un hard rock spogliato di qualsiasi influenza blues e imbottito di cori. E se è vero che i cori erano tra i tratti distintivi di molti gruppi già negli anni 60 sentirli in maniera così ossessiva in un pezzo di rock duro è certamente una novità. E se alcuni di voi possono trovarli fastidiosi, io li trovo geniali. Conclude il tutto la versione strumentale di "Seven Seas Of Rhye".
I Queen possono piacere o no, ma negare la bellezza di alcune loro opere è da idioti. E questo fulminante esordio non dovrebbe mancare in nessuna collezione di musica rock.
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