Reinhold Messner “Grido di Pietra - Cerro Torre, la montagna impossibile”
Corbaccio, 2009
Uno stuzzicadenti con un piccolo cappero sopra, oppure c’è chi lo definisce molto più semplicemente come un fallo. Non è altissimo: 3200 metri sul livello del mare, ma indiscutibilmente è la vetta più difficile del mondo. E’ l’unico ghiacciaio che allo stato attuale si sta espandendo, a testimoniare come il microclima in quella landa desolata di mondo sia un essere che gode di vita propria. Venti fino ai 200 all’ora fanno sì che in pochi minuti dal sole, si passi al diluvio universale e quelle pareti verticali di granito lunghe 1500 metri siano state definite per molti anni semplicemente impossibili. Anche solo pensare di scalarlo significava essere pronti per la camicia di forza. Il Cerro Torre.
Negli anni ‘50-’60 in Italia c’erano due talenti cristallini destinati a scrivere la storia dell’alpinismo mondiale dai comportamenti totalmente diversi. Il primo è il lombardo Walter Bonatti; l’uomo per bene, rispettoso della montagna e che sul K2 nel ‘54 dovette subire per decenni attacchi infami nella storica spedizione italiana di Desio. In verità gran parte del merito se quella spedizione andò a buon fine fu solo suo che trasportò le bombole senza usarle a più di 8000 metri e fu costretto a bivaccare all‘aperto perché il campo IX venne spostato da Compagnoni (colui il quale arrivò in cima) rispetto al punto previsto. Un numero incredibile di “prime”, fortissimo su roccia e ghiaccio: un gentiluomo dalla resistenza e forza psicologica totale.
L’altro è un anarchico, ribelle e presuntuoso trentino che si avvicina alla roccia a 20 anni suonati: Cesare Maestri. Per sua stessa ammissione l’alpinismo è una valvola di sfogo che fortunatamente ha trovato altrimenti chissà dove si sarebbe cacciato. Vuole eccellere a tutti i costi, la montagna è un modo per esaltarsi, mettersi in mostra, un nemico da rispettare e battere e vuole essere considerato il migliore arrampicatore di sempre. Fisico di ferro per un rocciatore capace come nessun altro di scendere in libera da pareti di livello estremo per quegli anni. Quando gettò via la corda mentre scendeva dal Crozzon del Brenta tutti lo considerarono semplicemente come un extra-terrestre e lo definirono il “Ragno delle Dolomiti”. Venne escluso dalla spedizione del K2 per motivi fisici (in verità erano con ogni probabilità caratteriali in quanto scalava da solo e non era minimamente incline al prendere ordini da nessuno). Per dimostrare i suoi “malanni fisici” dopo l’esclusione andò sul Brenta (casa sua) a fare in 16 ore 2600 metri di dislivello di arrampicata!!! Voleva spaccare le rocce tanta rabbia aveva in corpo.
Nel 1957 Bonatti e Maestri si ritrovano sul “Torre”. Bonatti desistette a qualche centinaio di metri dalla vetta, Maestri non scalò nemmeno: il suo capocordata, Bruno Detassis, ordinò a tutti i componenti della cordata di non attaccare la montagna impossibile. Bonatti non tornò più su quel ghiacciaio, Maestri ne rimase invece ossessionato. Aveva bisogno della vetta più difficile: non era stato sul K2 e la Marmolada, la Roda di Vael e le innumerevoli solitarie non gli bastavano. Viene stregato e aizzato da un italo-argentino Fava che lo incita e sostiene dicendogli “il Torre è pane per i tuoi denti“.
Nel 1959 con il fortissimo altoatesino Toni Egger esperto del ghiaccio torna. Il tempo è orrendo e dalla parete nord dal 28 al 31 gennaio a suon di chiodi ad espansione che necessitavano 30 minuti di tempo per essere conficcati nel granito e arrampicata estrema su ghiaccio i due si ritrovano in cima. Condizioni climatiche eccezionali, uniche, hanno ghiacciato la parete, smussandone la pendenza e rendendo più facile la loro salita che Maestri definisce come una passeggiata, per quanto terribilmente pericolosa e mortale causa il pericolo slavine. Nella discesa Toni Egger muore proprio per uno scarico di dimensioni enormi caduto dal fungo. Maestri dopo aver trascorso una notte in parete al gelo e senza zaino affranto e quasi in ipotermia scende usando le corde fisse, ma precipita a poche decine di metri dall’inizio della parete nel mare di neve che la slavina ha portato e viene ritrovato quasi morto e delirante da Cesarino Fava. E' il 3 febbraio 1959.
Sono passati 50 anni e quella rimane la più controversa salita della storia dell’alpinismo. Sul finire degli anni ‘60 gli inglesi hanno messo in dubbio l’impresa e Maestri nel ‘70, per mettere a tacere le dicerie, decide di tornare ma sale dalla parete est, dove tutti gli altri avevano fallito. Per lui la montagna va affrontata con ogni mezzo che la tecnologia mette a disposizione; non è assolutamente un purista come Bonatti, ma un anarchico e se per battere il Torre servono chiodi così sia. Si porta dietro un compressore del peso di 100 chili che usa per trapanare il Cerro nel tratto conclusivo arrivando fino al fungo finale di ghiaccio. Cerca di schiodare a martellate la via per non permettere a nessun altro di salire: è un pazzo scatenato in completa trance durante la discesa e si calma solo dopo essere arrivato al primo campo. Un’impresa fisica e di tecnica di arrampicata sublime, specie per un 42enne capocordata non più al top della forma come lo era 10 anni prima.
Solo con il passare degli anni e con l’avvento di nuovi materiali, avanti anni luce rispetto ai rudimentali e quasi ridicoli strumenti di arrampicata, vestiti e scarponi del finire degli anni ’50 qualcuno è riuscito ad avere ragione della famosa parete nord del Torre. Ad oggi non sono stati tuttavia trovati i chiodi che Maestri e Egger avrebbero messo; dopo una certa altezza spariscono i segni e per questo motivo il dubbio che quella scalata sia frutto della fantasia del sopravvissuto si sono fatti sempre più grandi. Gli scalatori attuali del Torre affermano che è inumano ed impossibile che il mitico Ragno e Egger abbiano potuto avere ragione di una parete del genere; lui indignato perché si osa mettere in discussione il suo onore respinge le accuse dagli attacchi.
Reinhold Messner, probabilmente l’alpinista più forte di tutti i tempi, che sul Torre non ci è mai salito in quanto non si vergogna nel dire che ha paura di quelle pareti e non crede di essere abbastanza bravo (lui è stato un alpinista estremo, non un arrampicatore altrettanto disumano) ricuce con maniacale cura tutti gli appunti dell’epoca, le scalate successive e i racconti di prima persona fatti con i protagonisti e ricostruisce la storia di questa diabolica montagna dal ‘59 al 2008. Da Casimiro Ferrari che ha ragione del fungo dal "ghiaccio spumoso" nel ’74 e che viene ingiustamente oscurato nella storia del Torre da Maestri al contemporaneo Salvaterra (il re del Torre). Il suo parere trapela chiaramente a tal punto da essere quasi ridondante e ripetitivo: Maestri non è un bugiardo, è stato uno de più grandi di sempre, una persona leale. Semplicemente dopo lo choc della morte del compagno e l’aver rischiato la vita la sua mente è convinta di una cosa che non ha realmente fatto con Egger: essere salito sul Torre. La montagna estrema può causare questo. Per questo motivo nel ’70 quando ci è tornato e ha vinto ilCerro (per Maestri il Torre finisce infatti con la roccia e non con il fungo di ghiaccio che va e viene) trasportando quel peso disumano non ha rifatto la via del ’59. La sua mente gli impedito di rivivere quel percorso perché sapeva che era impossibile. Se fosse nato qualche decennio più tardi l’avrebbe sicuramente scalata, ma nel ’59 anche l’extraterrestre di Trento non aveva i mezzi tecnici per avere ragione di quelle pareti e già solo avere tentato è una prova di incredibile coraggio, bravura e incoscienza. Maestri dal canto suo dice che la via del ’59 è stata frutto di fortuna e condizioni praticamente irripetibili e nel ‘70 voleva dimostrare che sul Torre si poteva arrivare dal lato dove i rocciatori dell’epoca fallivano e sottolinea con narcisismo che ha usato il compressore centinaia di metri al di sopra di dove tutti gli altri si erano fermati dimostrando la sua classe infinita.
E’ una storia che si stenta a credere possa essere vera. Racconta la spinta del volere l’impossibile, del superare costantemente i propri limiti e del cercare di diventare immortali. Vanità, coraggio e pazzia si mescolano in persone pronte a vendere tutto, fare debiti pur di dimostrare a loro stessi e al mondo intero che l’uomo ha risorse e capacità che sfociano quasi nell’immaginario. Superare bivacchi in parete a -30°, scalare settimi gradi superiori di parete ghiacciata con scarponi e picozze di quel tempo ha dell’incredibile. Molta gente può provare sdegno per come hanno giocato, e perso talvolta, con la morte o indifferenza nel gesto di questi personaggi. Eppure chi sa di avere un dono speciale, sembra che senta quasi di avere un compito: provare ad alzare l’asticella. E’ così in tutti i campi e la storia di Maestri e del Torre è solo una delle dimostrazioni, o storie, più incredibili. A prescindere da quale sia la verità vi invito a leggere questo libro (e magari anche uno del diretto interessato per sentire entrambe le campane). Ho divorato le 300 pagine in 10 ore e assaporato le fotografie paurose del Torre. Maestri e Egger hanno comunque legato il loro nome a quella maledetta montagna ed il solo fatto che abbiano tentato di scalarla nel 1959, perché credevano di poterlo fare, li rende immortali. Se poi troveranno un chiodo a espansione frutto di un migliaio di martellate poderose là dove Maestri dice di averlo messo 50 anni fa allora tutti, ma proprio tutti, dovranno inchinarsi allo sbruffone trentino avanti di decenni che era solito dire: “non esistono montagne impossibili, ma solo uomini incapaci di scalarle”.
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