Dopo l'ingiusto fallimento critico-commerciale del precedente "Fables of the Reconstructions", i R.E.M. avrebbe dovuto prendersi una pausa di un anno, chiudersi in studio e tirare fuori un lavoro senza punti deboli. Così fecero gli U2 tra "The Unforgettable Fire" e "Joshua"; così avrebbero dovuto fare i REM.
Invece, quarto album in quattro anni. Perché? Per conquistare il grande pubblico. Non male per un gruppo considerato tra i più "puri" del panorama internazionale.

"Life..." fu un buon successo commerciale, ma la realtà è che l'ispirazione e la freschezza dei primi tre dischi, qui comincia ad affievolirsi. Il risultato è insoddisfacente per due motivi: troppe canzoni mediocri; troppe accelerazioni. I REM cominciano ad eliminare il loro magico folk-elettrico-psichedelico (marchio di fabbrica dei primi tre album) e cominciano a correre di più, irrobustendo la chitarra, senza avere la competenza per farlo, col fatuo scopo di far ballare qualche studente universitario in più.

Non serve l'orecchio di Mozart per capire che quando i REM fanno "oriented-rock" sono pateticamente mediocri. Il migliore di questi brani ("Begin the Begin") è appena sufficiente. Altri pezzi, che lasciamo all'anonimato, hanno il sapore di fanfaronate registrate in preda ai fumi dell'alcool e di altre sostanze.

Nonostante tutto, il disco annovera diversi numeri da manuale: il folk-elettrico accelerato con classe di "I Believe"; l'incanto acustico di "Swan Swan H."; l'incanto elettrico di "Flowers of Guatemala"; la lezione di melodia e controcanti di "Cuyahoga". 

E soprattutto "Fall on Me", uno dei massimi capolavori del loro repertorio, con melodia, cambio, controcanti da antologia.

Il meglio di "Fables..." e di "Life..." costituisce un capolavoro che non ha nulla da invidiare a "Murmur". Senza la loro fretta di pubblicare, guidata dall'avidità di successo, avrebbero pubblicato un disco che, con la giusta promozione, avrebbe conquistato il mondo.

Un 3,5 che non si può arrotondare.

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