'Grandiii!'. 'Vi amooo!!!'. 'Non dimenticatemi, eh!'.

A metà degli anni '60 Renato Zero si proponeva in minuscoli locali davanti a poche decine di persone. Nel capodanno del 1970 si esibì davanti ad un solo spettatore (!), portando avanti lo spettacolo con impeccabile professionalità e concedendo due bis al pubblico (cioè, all'unica persona presente in sala) che lo richiamava sul palco a gran voce.

Oggi che porta i suoi spettacoli negli stadi e nei palasport, questo borgataro perennemente alieno dalla politica, dai salotti bene della cultura, ignorato dalle radio, schifato dai giornalisti, continua a proporsi con lo stesso amore e rispetto per il pubblico, suo unico referente da 40 anni a questa parte. Lo Zeromovimento, tour del 2006, è l'ennesima variazione sul tema sul quale Renato ha fondato una carriera, comunque la si giudichi, straordinaria: non un concerto, ma un teatro musicale popolare, semplice e immediato, colorato ed ironico, spesso malinconico, fruibile da un pubblico trasversale a generi, classi sociali e culturali, categorie anagrafiche.

Zero è un personaggio per molti versi senza tempo (la maschera la si può indossare a 20 anni come a 80), per altri aspetti è anacronistico: basa il suo consenso sul passaparola più che su campagne mediatiche invasive alla ligabue, continua a ideare da solo le sue scenografie e a disegnarsi i costumi di scena. Come i vecchi circensi, sposta il suo carrozzone di città in città e ogni sera la 'favola', immersione in una realtà irreale fatta di sogni, eterno luna park, si ripete puntuale. Per questo Zeromovimento, in uscita in autunno in dvd, Renato trasforma il palco in un enorme giradischi: il braccetto, la puntina, il piatto rotante come un tapis roulant circolare, che lo porta dentro e fuori scena ad ogni brano, ad ogni cambio d'abito. Si presenta in scena di bianco vestito e parte subito con 'Il Jolly', anno 1981, inframmezzando brani recenti e preistorici, discorsi ispirati e monologhi retorici, abiti classici di sartoria e costumi variopinti e bizzarri. Arriva vestito da fantasma, poi per 'Fermoposta' indossa una giacca mimetica che nasconde all'interno un campionario di lingerie rossa, 'Fortuna' la interpreta incatenato, per poi scatenarsi sul finale in balli pirotecnici che riportano alla mente il Santi Bailor di 'Un americano a Roma'.

Una sorta di delirio di colori, accompagnato da una voce come al solito splendida, che raggiunge il suo apice in occasione dei bis: per 'D'aria e di musica' si trasforma in pentagramma umano; con 'Uomo no', manifesto dalla sua personale crociata anti droga, diventa un guerriero medievale, con tanto di maglia ferrata, armatura e elmo; per il gran finale torna in scena circondato da 12 manichini, con un impermeabile bianco lucido e un borsalino in testa. Saluti interminabili e lacrime. Non sarà mai, Renato Zero, il cantante che piacerà ai dj o ai giornalisti musicali, proprio perché la musica rappresenta solo una parte del suo bagaglio artistico (in definitiva, i suoi spettacoli potrebbero essere recensiti anche da critici teatrali o da psicologi delle masse). Ma poco importa: per questo artista senza età conta solo stabilire un rapporto diretto col pubblico, dare a ogni spettatore l'illusione di cantare proprio per lui.

D'altra parte, come ebbe a dire commentando lo spettacolo del 1970 di cui sopra: 'Cantare davanti a uno spettatore è come cantare per centomila persone. Non esiste il pubblico. Esiste ogni singola persona'.

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