Lui è un pittore, lui espone anche a Firenze; lui, come quelli della sua generazione, è un artista assoluto, in tutti i sensi, in tutte le direzioni, in tutte le arti... Lui è un'icona vivente, e la sua voce è forse la più bella della sua generazione: tetra, roca e melodiosa al contempo, teatrale, romantica ma anche gotica e dark, capace d'intepretare alla perfezione l'amore più dolce, lo spleen più nichilista e gli incubi più terribili. La sua prima band, gli Psychedelic Furs, è tra le capostipiti della new wave e tra le più riverite del post-punk; è tra le precursori del movimento dark ed ha saputo piazzare singoli e melodie piaciute a tutti, masse indefinite comprese.
A quasi trent'anni dal suo debutto, dopo un silenzio lungo un decennio o pressappoco, Richard Butler ritorna alla canzone, all'arte della musica, e lo fa con un disco intimo, di canzoni che furono composte per voce e chitarra acustica, canzoni che rispettano il suo attuale approccio alla musica, domestico e "privato", e cantate in una maniera speciale, e cioè da un singer che non ha voglia di "somigliare a se stesso", che rifiuta (rinnega?) il suo timbro-trademark e va alla ricerca di una vocalità meno originale ma ancor più sofisticata... E chi ha ascoltato "Heaven" o "Pretty In Pink" (o "How Soon Is Now" dei Love Spit Love) senza sapere come si chiamasse il cantante, praticamente non riuscirà mai e poi mai a riconoscerlo in questo disco.
"Good Days, Bad Days" è voce, chitarra acustica e stelle. "California" è un mix tra la sua new wave e le sonorità care al bedroom rock di Jason Lytle. "Breathe" è un funerale che si celebra sulla luna. Il tutto viene suonato con un gusto per la modernità, per un neofuturismo, per un pop lunare che non ti spieghi: ci sarebbe poco da capire, in effetti, per un artista che in pratica non calca le scene per un decennio... Che ne posso sapere io, del suo viaggio musicale, se in questo viaggio non ha pressoché lasciato "impronte"? Poi mi ricordo di un bel brano per la colonna sonora di un film (mi pare con Gere e Willis), dalle sonorità molto tecnologiche, soundtrack a cui parteciparono anche Massive Attack ed altri artisti di quel genere, ed allora forse una traccierella c'è... Quindi dài un'occhiata al booklet ed al retro, e leggi Jon Carin... Ed a quel punto non ti serve altro...
"Satellites" è cantata da un quasi giovanissimo Bowie alle prese con uno dei suoi melodrammi glam; bellissimo il pop chitarristico per "Broken Aeroplanes": una tastiera che viaggia per un'orbita tutta sua aumenta e diminuisce il pathos con saggezza, mentre chitarre lancinanti accompagnano la passeggiata spaziale di un astronauta in cerca del perfetto regalo di Natale per la figlioletta... "Milk" è bedroom rock lineare e sdolcinato che prende lentamente il volo, aiutato da un carillion magico. La più tradizionale e acustica, "Nothing's Wrong", si veste ancora di "melodramma", stavolta in chiave "neo-futurista", come piacque a Yorke e amici ai tempi di "OK Computer". Richard e Jon aggiungono rumori, apparati radio in perenne comunicazione con la base, ed infine cori d'opera lirica...
La psichedelia è dappertutto, in questo lavoro, ma quel suo retrogusto, in nessun brano incide più che in "Second To Second", cocktail musicale tra la bossanova, il flamenco-chill e l'acquarello acustico europeo più tradizionale. Il tutto messo a disposizione del gestore di un lounge bar in riva al mar Humboldtianum... Esperimento "tecno-elettrico" gelido, per "Last Monkey", in cui la voce di Butler è quella dello spettro di Chris Martin... L'autunno, e la scusa dell'aria che si fa freschetta, buona per stringersi un po' di più ed un po' più spesso, arriva in "Sentimental Airlines". "Maybe Someday" è il congedo tra lacrimette che hanno il sapore dello zucchero e non del sale, di pace d'animo e buone speranze...
Il disco, lunare ed intriso di una malinconia celata e malcelata, è una galleria in cui, come quadri di una collezione, vengono esposti i brani: riesco a riconoscere questo gusto, e questa "unità", questa coerenza progettuale... Ma in realtà il progetto nasce con e grazie a Jon Carin - che per chi non lo sapesse è praticamente colui che salvò Gilmour e soci dalla dipartita di Roger Waters, nonché, a suo tempo, leader degli Industry e collaboratore prezioso di Brian Eno -, che prende il tutto e lo inserisce in una cornice in cui i sentimenti, soli e nudi nel vuoto galattico, divengono più fragili e più potenti, e le melodie, arricchite di suoni e contemporaneamente di essi scarnificate, si esaltano conquistandoti.
A Richard Butler va invece attribuito il riconoscimento dell'assoluta qualità di scrittura: questi sono brani che sarebbero rimasti bellissimi, infondo, anche se fossero stati eseguiti semplicemente dalla sua voce (qualunque essa sia) e da una chitarra qualsiasi, anche di terza mano. E, pensando ai suoi dischi ed alle sue canzoni più belle, c'è da rallegrarsi nel sapere che Richard è ancora un artista, ed un artista musicale. E che canta, scrive, compone... E incide... Che la sua musica è viva. E' solo che nei suoi viaggi ha imparato a lasciare un po' meno "impronte". Ma io infondo non chiedo molto, e m'accontento volentieri di un suo disco ogni tanto...
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Di Carmine Pescatore
Un disco privo di punti deboli.
La malinconia è la tristezza divenuta leggera.