My Bloody Valentine. Slowdive. Adesso i Ride.

Questo shoegaze revival è ormai una certezza, e ha portato anche dei buoni frutti, il più succoso dei quali sembra proprio essere questo “Weather Diaries”, primo lavoro in studio dalla reunion del 2014. Il nuovo album segue l’esperienza di Andy Bell con Oasis (come bassista) e la non fortunatissima carriera solista di Mark Gardener, ovvero i due leader che decretarono lo scioglimento del progetto dopo il disastroso “Tarantula” del 1996.

Prodotto dal DJ di origini turche Erol Alkan (in passato con Klaxons e Long Blondes) e mixato dal sempre ottimo Alan Moulder, questo nuovo lavoro della band britannica è un distillato di puro Ride sound. Le differenze col passato (ormai ben lontano) sono in una maggiore accessibilità ed in una più curata uniformità sonora di alcuni episodi: basti pensare ad uno dei singoli estratti, “Charm Assault”, ma anche al curioso garage rock di “Lateral Alice”.

Non mancano episodi più groovy, dove la melodia emerge da un glaciale rumorismo tipico delle radici shoegaze della band, vedi alla voce “Home Is A Feeling” (intelligentemente estratto come secondo singolo, in contrapposizione alla rassicurante succitata “Charm Assault”) e “Impermanence”, la più legata alle primissime sonorità di Gardener e compagni.

“Lannoy Point” apre le danze con un ritmo pulsante e coinvolgente, celebrando la ritrovata unità tra le due “anime” della band, accoppiando in un matrimonio perfetto muro sonoro e delicato melodismo. Nell’altro estratto “All I Want” troviamo ben in evidenza il groviglio ritmico messo in piedi dall’ottimo batterista “Loz” Colbert.

La titletrack si avvicina piacevolmente a fascinazioni prog, e fa da spartiacque introducendo una seconda parte ove i Ride si prendono maggiori libertà e spaziano liberamente tra influenze assai diverse tra loro (il power pop tinto di shoegaze di “Cali”, il crescendo un po’ The Verve di “Rocket Silver Symphony” – un caso l’assonanza? – ed il rumore bianco di “Integration Tape”) prima di chiudere sull’introspezione open space di “White Sands”.

Uno splendido ritorno, nettamente superiore a “Tarantula” (e ci mancherebbe altro) e perfettamente in linea con la migliore produzione dei Ride. Un disco assolutamente in grado di accostarsi alle loro cose migliori.

Traccia migliore: Weather Diaries

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