Per quanto il film prenda spunto da un racconto di Joseph Conrad, (apro una parentesi consigliandovi oltre all'arcinoto "Cuore di Tenebra" il meno conosciuto e assai interessante "La linea d'ombra"), la trama raccontata nella pellicola è, perdonate l'affronto nei confronti dell'autore, secondaria. Volendo banalizzarla è una controversia d'onore nata per stupidi e fumosi motivi tra due militari di pari grado del battaglione ussari, (parte della cavalleria francese ai tempi di Napoleone). I due protagonisti hanno un carattere profondamente diverso; uno iroso e passionale l'altro molto più pacato, "clean" legati a doppio filo dall'odio reciproco. Il primo, bonapartista per eccellenza, si aggrappa ad un pretesto assurdo per sfidare in un duello mortale il secondo che non può tirarsi indietro per rischiare di essere tacciato per il resto della vita militare come un vigliacco. L'impossibilità di trovare un vincitore, le ripetute sospensioni per le ferite riportate da entrambi nei svariati duelli nei quali si cimenteranno, li costringeranno a scontrarsi nei campi di battaglia di mezza Europa per l'assurdo periodo di sedici anni: dall'ascesa di Napoleone fino al ripristino della monarchia.

Un film storico, dunque, senza cambi di ritmo se non quello dal lento al lentissimo, con una trama lineare come i battiti cardiaci di un morto. Spaparanzato sul divano con un fastidioso tricheco sullo stomaco, il pranzo di Natale, ho cominciato a vedere il film convinto del fatto che non sarei potuto andare oltre la prima pausa pubblicitaria. Già pregustavo un sonno riparatore sulla poltrona come spesso mi capita dopo una manciata di giri di un GP a caso, a voi la scelta, di Formula 1. Il motivo per cui scrivo questa recensione è dovuto al fatto che, contro ogni previsione, gli occhi non solo hanno resistito ma sono stati attentissimi per tutta la durata: nessuno sbadiglio ed il giorno seguente ho sentito perfino il bisogno di rivedere l‘opera.

Non serve leggere wikipedia o una recensione sulla rete per capire che questo lavoro cinematografico del '77 è figlio di "Barry Lyndon" (‘75). Me lo immagino Ridley Scott, seduto al cinema, rimanere basito di fronte ad una fotografia sublime (pare di muoversi in una serie di dipinti del '700) ricca di piani sequenza uniti ad inquadrature e scenografie capaci di far venire la pelle d'oca ed una cura per i costumi che è quanto di più vicino al termine perfezione. Chiudo gli occhi e lo "vedo" prendere appunti mentre assiste ai duelli tragici che porteranno fortuna e disgrazia al protagonista che dà il nome al film. L'attenzione per la continua ripresa di un motivo musicale, particolarmente centrato con l'ambientazione descritta, capace di rimbalzare in testa mentre lo spettatore gode di immagini uniche per qualità e piacere. Un attore, Ryan O'Neal, che mette un po' di pepe alla storia con un'interpretazione di livello per spezzare il ritmo lento del lavoro.

La tremenda bestemmia che mi sento di pigiare su debaser oggi è che "I duellanti", nonostante sia un film per certi versi derivativo ed infinitamente meno conosciuto, lo preferisco alla perla estetico visiva di Kubrick.

I protagonisti de "I duellanti" (Keytel/Carradine) con i loro splendidi baffetti sono riusciti a rendere alla perfezione la dicotomia tra due caratteri inconciliabili che sono costretti a mettersi in competizione rischiando la vita senza avere alla base del loro dissidio un motivo reale. É quasi un fattore istintivo, animalesco; come il cane che ogni cento metri marchia il territorio. In tale contesto la capacità recitativa assume un'importanza assai rilevante e Keytel c'entra il personaggio dell'invasato, sanguinario e Carradine quello del malinconico condannato che vorrebbe evitare quel fetido cane rabbioso che lo rincorre sbavando. Senza tergiversare troppo, i duelli grazie a questi due attori sono uno spettacolo!

Ridley Scott, credo all'esordio cinematografico, e con ben pochi mezzi a disposizione muove con sapienza estrema la cinepresa facendoci vedere come tremano gambe arse dalla paura, facendoci sentire i respiri affannati di corpi allo stremo che vengono lacerati, infilzati sebbene si rifiutino cocciutamente di cedere al sinistro e dolce richiamo della morte. Visione d'insieme dei paesaggi che fanno da contorno agli scontri sono alternati a primi piani sui volti di due grandi attori. Personalmente ho fatto il tifo per Keytel, ho un debole per i figli di puttana ("Pulp Ficton", "Il cattivo tenente"), ma posso capire anche lo spettatore che preferisca patteggiare per Carradine. Trasformando per gioco le figure dei duellanti in tennisti... Beh, è facile. Il primo è senza ombra di dubbio John McEnroe, mentre il secondo non può essere che Stefan Edberg

In "Barry Lyndon" prende il sopravvento la bellezza estetica delle immagini rispetto alla recitazione nella quale Ryan O'Neal non trova una spalla, un antagonista di livello che sublimi le tappe fondamentali della sua vita. Per quanto questo squilibrio, a favore dell'estetica che forse in queste tre storiche ore raggiunge il suo punto più alto nella storia del cinema, sia sicuramente voluto da Kubrick io ritengo che "I Duellanti" abbia il grande pregio di unire l'appagamento visivo di inquadrature superlative, (la scena iniziale delle oche, i diversi piani sequenza negli interni e le ambientazioni scenografiche dei duelli, la salita finale sulla collina ecc...) ad una potenza recitativa non comune. Il film di Scott, inoltre, ha il grandissimo pregio, forse determinato dal risicato budget, di avere un minutaggio assai compatto e sfiora appena i cento minuti. Personalmente faccio fatica a digerire le opere troppo prolisse (lo stesso "Barry Lyndon" e "America Oggi" di Altman sono delle eccezioni). 
Dati i mezzi a disposizione del giovane regista all'esordio credo che abbia fatto un lavoro clamoroso.

Concludo con un'ultima bestemmia: quest'opera poco conosciuta la metto sullo stesso livello di "Blade Runner" e "Alien".  

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