Se penso a "Nashville" mi viene in mente "America Oggi" (Short Cuts) forse perchè hanno in comune la struttura narrativa, costituita da svariate storie che s'intrecciano l'una con l'altra, e oltre a questo, entrambi demoliscono "il sogno americano". Ma se il primo è un film politicizzato, vetrina di una politica trasformata in un luna park, uno show nel quale i problemi della gente non contano niente, in "America Oggi" è mostrata la vita di una trentina di persone che hanno in comune, solo il fatto di vivere nella stessa città, ma più che altro di non saper governare le loro esistenze.

Altman racconta pacatamente, quasi con indifferenza, alternando il banale ed il drammatico, forse è anche per questo che guardiamo rilassati, l'affannarsi dei suoi antieroi, e probabilmente troviamo in loro, un po' di noi stessi. Un poliziotto che non ama e tradisce la moglie, cinico al punto di abbandonare il cagnolino di casa, in qualche parte della città, perchè colpevole di abbaiare troppo. Una casalinga che fa telefonate erotiche, intanto che cambia il pannolino del suo piccolo. Una coppia benestante, la cui esistenza si trasforma in dramma, quando il loro bambino Casey, è investito involontariamente da Doreen (Lily Tomlin) cameriera di un fast food. Una cantante di night club, donna insensibile, disillusa, canta "i'm a prisoner of life" titolo indicativo della condizione dei vari protagonisti del film, perdenti alla ricerca di un esistenza migliore, che si rivela essere quel niente chiamato routine "prigionieri della vita"

Il regista si è ispirato ad alcuni racconti di Raymond Carver, consegnandoci un film di persone che amano, odiano, ci mostra episodi della vita comune, famiglie che s'incontrano o solo si sfiorano, tirano avanti nella Los Angeles degli anni novanta, per trovare un loro spazio, un briciolo di fortuna, o forse, solo un po' d'amore. Altman non vuole insegnare niente, piuttosto ci invita a seguire la logica dei personaggi, che altro non è che la logica della vita, spesso assurda, ne consegue una raffigurazione inclemente, a tratti crudele della loro esistenza, e della natura umana, indifferente ai bisogni del prossimo. Esemplare in questo senso, la rappresentazione di Paul (Jack Lemmon) nonno di Casey, il quale si fa vivo dopo molti anni all'ospedale, e, invece d'interessarsi della sorte del bambino, attacca bottone con i parenti di un altro ragazzino. Poi, non trova di meglio che scusarsi col proprio figlio, per aver lasciato la famiglia, quando fu sorpreso dalla moglie con la cognata. Paul è il centro, per lui la sola realtà degna d'attenzione, è lui stesso. Solo quando sarà chiaro che il bambino non sopravvivrà, si allontanerà senza dire una parola. In questo ritratto desolante, a farne le spese, sono i più deboli. La figlia della Jazzista, una fragile violoncellista, che cerca invano di stabilire un rapporto con la madre, per cercare di colmare il deserto di sentimenti nel quale è vissuta, non regge il peso della vita, suicidandosi, ma l'ha uccisa l'indifferenza del prossimo. Il percorso del film ci porta pure a conoscere la già citata Doreen, e suo marito Earl (Tom Waits) che vivono una relazione burrascosa a causa dalla dipendenza dall'alcool dell'uomo. Nel fast food, per qualche istante le loro esistenze sfioreranno quelle di tre pescatori, che metteranno in condizione la donna di farsi sbirciare sotto la gonna. In seguito andranno a pescare sulla riva di un fiume, uno di loro scopre il cadavere di una donna, invece di avvertire la polizia, fissano il corpo alla sponda, così che possono continuare a pescare e scherzare indisturbati. Il film termina con una scossa di terremoto che provoca una caduta di sassi, ma da anche modo alla violenza di Jerry (Chris Penn) accumulata in anni di frustrazioni, di manifestarsi nel modo più rabbioso, un terremoto che può essere inteso metaforicamente, non esiste sciagura, dopo la quale la vita non continui, nonostante tutto.

"America Oggi" è una pellicola nella quale non c'è sogno nè allegria, uno spaccato forse troppo amaro, senza speranza, della società americana, ma, ottiene il risultato di farci riflettere. Dura circa tre ore, ma quando entriamo nel meccanismo del film, non ci annoiamo mai, al contrario, più capiamo lo sviluppo delle storie, più siamo conquistati da questo lavoro, complesso, deprimente, arguto e dal sapore veritiero. A mio parere il capolavoro di Robert Altman, un film affascinante e ben costruito, che considero tra i più belli che ho visto.

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