Nel tentativo meta-compositivo di trasformare un effetto secondario —il lag dovuto alla iterazione meccanica di un suono proveniente da uno strumento elettrico— in un elemento a sé stante della composizione, Terry Riley, assieme ad altri suoi innumerevoli divertissement analogici, ha reso alto servigio all’ambiente musicale della musica d’ambiente.
Difatti, i primi a fare della chamber-music per chitarra elettrica e registratori a bobina Revox in stile catatonico furono la rinomata coppia di ambientalisti Fripp-Eno, mossa, in “(No passyfooting)” del 1973, dal medesimo ammaliamento per l’ipnoticità del super-strumento che aveva mosso il Riley dell’inarrivabile “A Rainbow in Curved Air”; adoperando poi, due anni dopo, il medesimo super-strumento come meta-strumento (in “Evening Star”).
Ma, purezza delle purezze, è Fripp-senza-Eno a portare a termine il processo di smarcamento dell’invenzione del magistro minimalistarum da ogni altro incastro compositivo, portando in giro, tra il 1978 e il 1981, il marchingegno time-laggatore— spacciandolo nientemenoché per una propria invenzione: il Frippertronics— per bar, sale da biliardo e circoli ricreativi per gente divertita dallo stordimento sonoro. Il risultato di questo isolamento monastico è un divino precipitato di sovraincisioni, il cui valore è del tutto indipendente dal musicista che le mette in opera, dato che, abbandonato alle proprie reiterazioni, il meta-strumento — chitarra elettrica + coppia di registratori a bobina— va avanti, per così dire, sulle proprie gambe.
Questo risultato della decantazione di un effetto secondario, esibito qui in diafana solitudine, si sfalderà tra le mani dello stesso Fripp, dando successivamente adito ad algidi soundscapes, i quali però non avranno più la limpidezza del time-lag accumulator originario.
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