ANACHRONIST

Non è da tutti, concepire opere di tal spessore, così profonde nelle proprie tematiche, e capaci di una enorme qualità di lungimiranza.

Nell'arco di una carriera avviata da leader e mente creativa della "Macchina Molle" ("Soft Machine" e "Matching Mole") e proseguita come carriera solista, Robert Wyatt ha sperimentato nuove soluzioni, ha composto lavori dal peso specifico notevole, dal seminale "Rock Bottom", anticipato dal caleidoscopico "The End Of An Ear", fino al jazz-rock più tipicamente canterburyiano di "Ruth Is Stranger Than Richard", dal pop sintetico, contaminato ed inafferrabile di "Old Rottenhat" alle recenti gemme "Cuckooland" e "Comicopera". Si è interessato inoltre di questioni sociali partecipando attivamente alla propaganda di stampo comunista, e nel frattempo ha coltivato il proprio spirito maturando una personale visione del mondo che lo circondava.

È sulla scia di questo importante percorso di crescita che nel 1991 viene dato alla luce "Dondestan", uno dei vertici della produzione del Wyatt solista (sicuramente la sua creatura più "spettrale"), ennesimo punto di non ritorno, e considerato da buona parte della critica come il vero capolavoro del compositore inglese dopo l'epocale "Rock Bottom".

Per la realizzazione di questo lavoro Wyatt predilige la strada già battuta (con risultati eccellenti) dal suo predecessore "Old Rottenhat", sfruttando il segreto alchemico ed i vantaggi celati da una strumentazione povera ed essenziale. Pianoforte, organo, (che funge anche da basso synth), e percussioni sono le fonti di un impasto sonoro omogeneo e leggermente monotonale, ma non per questo privo di attrattiva. Robert è autore di tutte le musiche (eccezion fatta per "Lisp Service", firmata dal compianto Hugh Hopper, recentemente scomparso, suo grande amico e collaboratore dai tempi dei Soft Machine), ed inoltre scrive a quattro mani metà dei testi con la sempiterna musa Alfreda Benge (altra memorabile copertina quella disegnata de lei per questo Lp).

"Dondestan" è una creatura che si snocciola attraverso un corposo e ben focalizzato spettro di frequenze. Una creatura raccolta in una lieve pellicola ambrata, che preferisce bussare alla porta dell'ascoltatore piuttosto che forzarla, e che riesce ad immortalare, in dieci strutture, cicliche ed ipnotiche il Wyatt più ermetico. È jazz, morbido ma tagliente, limato da brandelli di una psichedelia primaticcia, ed ogni singolo brano è uno squarcio nella sottile cortina della realtà.

L'inizio è da brividi con l'opening "Costa"; il suo incipit algido e surreale che in pochi intensi minuti si fonde con i bagliori chiaroscuri del pulpito finale, le folate percussive, la voce di Robert che sembra genuflettersi fino a sfiorare vibrazioni di natura quasi aliena, in questo scorcio tutto fila a meraviglia. Eppure il disco invece di decollare perde progressivamente quota fino a sfociare in una visione che sa di arcaico e rarefatto nei suoi contorni con "The Sight Of The Wind" e "Catholic Architecture", sostenute entrambe da un efficace lavoro in saliscendi del pianoforte, (nelle quali essenziali note sembra riverberare una tensione cumulativa verso l'assoluto, arrivata a saturare ogni centimetro della sua integerrima personalità).

Dopo questo inizio sfolgorante ecco "Worship", il pezzo che non ti aspetti. Arioso, con quella melodia quasi increspata dall'inflessione tipicamente jazzy del cantato, un toccasana per il prosieguo dell'ascolto. Rapida e macchinosa arriva infatti, spedita come un treno a vapore, "Shrinkap", una trance spigolosa e martellante che prepara il terreno per le due perle successive "Cp Jeebies" e "Left On Man", per poi andare in chiusa nel limbo accogliente di "Lisp Service" e "N.I.O. (New Information Order)". Infine, l'aria vagamente infantile della title-track stride con il tappeto finale di tastiere che mestamente riporta tutto su un piano di sospensione assoluta. I testi, mai banali, spaziano dalla potenza immaginifica di brani come "Costa" e "Catholic Architecture", alla smania di alleggerire i flussi centripeti dell'ego umano in "Shrinkap", passando attraverso gli accenti satirici di "N.I.O. (New Information Order)", "Dondestan" e "Left On Man", vere e proprie finestre spalancate sulla torbida realtà che ci assorbe, con riferimenti al sociale ed alla ottusa politica nazionalista talvolta nemmeno così velati.

Lungi da me il voler mescolare materia sacra come la musica di Wyatt con dei semplici, tronfi discorsi da bar sulla politica; mi preme comunque sottolineare come la natura di un tale lampante contrasto, riesca a trasformarsi in qualità ed energia creativa in "Dondestan". In quel suo stato di "veglia onirica" che aleggia nell'aria e che solca i nostri padiglioni auricolari come un respiro accompagnato da un rantolo di coscienza. Un respiro caldo come i pensieri che accompagnano un vero guerriero durante il suo viaggio sulla Terra: "un guerriero sceglie di percorrere una strada con un cuore; egli nutre il suo personale modo di sperimentare l'immensità della vita. È consapevole dell'incorruttibilità di tale scelta quando prova una gran pace a percorrere questa strada, ed è in simbiosi con essa (cit.)".

 "Dondestan" è dunque come un viaggio, come il percorso che l'acqua cristallina di sorgente deve scavare attraverso il fango per giungere alla sua foce. Per questo si nutre della stessa materia di cui è fatto il nostro tempo, non può (e non vuole) prescindere da essa.

"Someday our ocean will find its shore", recitava un verso emblematico di Nick Drake, sintetizzando in maniera sublime il decorso che segue il fluire delle nostre vite.

Penso che lo spirito di Robert sia molto vicino alla propria foce.

 

Ah, dimenticavo.

Buon viaggio Hugh.....

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