Nel 1978 Roberto Vecchioni pubblica l'album "Calabuig, Stranamore ed altri incidenti": è sicuramente uno degli album più criptici ed ermetici dell'intera carriera del Prof milanese ma napoletano d'origine. Io ho provato a dare una mia interpretazione, ed a mio avviso tutto l'album è una metafora del (o quanto meno si ricollega al) rapporto molto tormentato che lui stava vivendo all'epoca con la sua prima moglie, dalla quale si sarebbe lasciato di lì a poco, e del conseguente forte momento di crisi personale-sentimentale vissuto in quel momento.

Si parte subito fortissimo, anche musicalmente, con il trascinante rock di "Stranamore - Pure questo è amore". In tale brano si citano degli amori, appunto, "strani": una moglie alle prese con un marito alcolizzato; un uomo che lascia la sua lei in modo molto sbrigativo ed anche violento, per usare un eufemismo (e ti ho baciata sul sorriso per non farti male, e ti ho sparato sulla bocca invece di baciarti perché non fosse troppo lungo il tempo di lasciarti); un gruppo di comunisti che fermano un ragazzo che si rifiuta di comprare il loro giornale, mentre chi assiste alla scena si dichiara fascista e la sua paura non è sufficiente a fargli dire "basta" mentre lo picchiano (ed io pensavo: "Ora gli dico: Sono anch'io fascista" - ma ad ogni pugno che arrivava dritto sulla testa la mia paura non bastava a farmi dire basta). In questa carrellata di "amori strani" vengono ricompresi anche personaggi storici, cosa molto frequente in Vecchioni: Marco Aurelio alle prese con la guerra in Pannonia e forse anche con i suoi dubbi ed i suoi rimorsi riguardo la stessa, specialmente dopo aver confrontato la sua visione dell'uomo (e di quella dei genarali in generale, scusate il gioco di parole) con quella opposta che ne ha invece una ragazza (E l'alba sul Danubio a Marco parve fosforo e miele, e una ragazza bionda forse gli voleva dire che l'uomo è grande, l'uomo è vivo, l'uomo non è guerra; ma i generali gli rispondono che l'uomo è vino: combatte bene e muore meglio solo quando è pieno); Alessandro Magno disilluso di fronte alla sua infinita e sterminata sete di conquista (Ed il più grande conquistò nazione dopo nazione, e quando fu di fronte al mare si sentì un coglione perché più in là non si poteva conquistare niente; e tanta strada per vedere un sole disperato, e sempre uguale e sempre come quando era partito); Garibaldi nel momento della partenza da Quarto per le Due Sicilie, con probabile riferimento ai suoi disinvolti "passaggi", pur di combattere, nelle file di liberali, monarchici e cattolici (Bello l'eroe con gli occhi azzurri dritto sopra la nave, ha più ferite che battaglie, lui ce l'ha la chiave. Ha crocefissi e falci in pugno e bla bla bla fratelli), ma il narratore, dopo aver sentito il discorso dell' Eroe dei Due Mondi, decide di non seguirlo preferendo l'affetto della figlia (ed io ti ho sollevata figlia per vederlo meglio, io che non parto e sto a guardarti e che rimango sveglio). Naturalmente non tutti questi "stranamori" sono condivisibili, e lo stesso autore sembra limitarsi ad elencarli senza dare un giudizio sugli stessi, nè positivo nè negativo, forse al solo scopo di far riflettere: "Forse non lo sai, ma pure questo è amore". E' probabile inoltre che Vecchioni si sia "ispirato" per il titolo al film di Kubrick del 1964 "Il Dottor Stranamore".

"Incontrarvi seduti sopra quel treno, tutti e quattro avevate vent'anni in meno, come in fondo ad un buco che dà nel tempo": inizia così la bellissima"Ninni", seconda traccia dell'album. Tale brano prende spunto dal primo racconto de "Il libro di sabbia" di Borges, "L'altro". Nel libro Borges incontra sé stesso più giovane, i "due Borges" si confrontano ed i ricordi del Borges "maturo" coincidono con i progetti del Borges "giovane": con questo espediente lo scrittore riesce a stabilire un legame molto forte con il suo passato. Allo stesso modo, nel brano in commento Vecchioni immagina di incontrare il sé stesso di vent'anni prima seduto su un treno, unitamente ai suoi genitori ed a suo fratello (anch'essi naturalmente più giovani di vent'anni), ed inizia a fare delle riflessioni. E' evidente che in un momento di forte crisi personale-sentimentale si cerca sempre un rifugio negli affetti più cari, in questo caso rappresentati dai suoi genitori e da suo fratello. Ed il fatto di "rivederli" ringiovaniti di vent'anni unitamente a lui alla stessa epoca probabilmente lo porta a ricordarsi anche dei bei momenti spensierati e felici della sua infanzia, momenti così diversi da quelli vissuti dall'autore all'epoca. Ninni era il nomignolo con cui la madre lo appellava affettuosamente da piccolo, ed in gergo significa "piccolo, bambino". Nel testo ci sono riferimenti precisi sia alla madre (disegnavi sorrisi sui finestrini) sia al padre (lui segnava i cavalli da giocare): il padre infatti era un accanito scommettitore di corse di cavalli, come lo stesso Vecchioni aveva già "rivelato" nei due precedenti brani che lo riguardavano, "L' uomo che si gioca il cielo a dadi" presentata a Sanremo nel 1973 (Tu li hai giocati tutti senza avere in mano i re, pieno e cavalli o niente, tutto il resto che cos'è?) e "Per un vecchio bambino" del 1977, composta proprio in occasione della morte del padre, avvenuta in quello stesso anno (E una domenica i cavalli, le carte, le scommesse e i sogni vennero a dirmi: "Lo lasciamo. Adesso è grande, adesso sai non ha bisogno più di noi"). Ancora dedicato al padre è il verso "Dire all'uomo che fuma senza parlare : "fuma piano, ti prego" e poi capire che il futuro è già stato e non può cambiare": nel presente, come detto, lui era già morto ma nell'incontro in treno era ancora vivo e ci si riferisce al fatto che, probabilmente, il padre stesso era anche un accanito fumatore. Eh sì, aveva un bel po ' di vizi questo padre evidentemente, ma nonostante tutto si capisce che Vecchioni stravedeva per lui! Ma mentre osserva questa "scena" con estremo piacere, l'autore si rivolge anche alla (allora) attuale moglie con tutt'altro tenore, in un misto di amarezza e rancore: "Quante volte ho pensato di rinunciare e lasciargliela lì come fosse un gioco questa vita che è niente ma non è poco. Quanti mezzi sorrisi ai miei ritorni, quante corse da scemo sui treni fermi, quanti che chiamo e non si san più voltare". Ma, alla fine, rivolto alla madre, le dice "E non sai quanta voglia avrei di dirti che tuo figlio non è cambiato, era solo ma si è aspettato ed è sempre come lo chiamavi tu: Ninni", con un rigurgito, seppur flebile, di ottimismo.

In "A te" Vecchioni parla con nostalgia e rimorso di una relazione (forse) extraconiugale di un uomo con una donna vittima, unitamente a sua madre, di maltrattamenti da parte di suo padre: rimorso perchè magari quest' uomo non aveva portato oltre quella relazione proprio per rispetto di sua moglie, ed invece le cose con la stessa moglie non erano andate come lui sperava, ma in maniera totalmente opposta. E quindi pensa che invece sarebbe stato meglio insistere con quella relazione in modo che "oggi" forse lui sarebbe stato più felice. Ed invece: "A te che mi hai contato i passi sulle scale, e viene sempre il giorno che non si sale. A te nemmeno un sogno, nemmeno un'emozione, a te non ho lasciato che una brutta canzone". Canzone autobiografica? Naturalmente non è dato saperlo, ma conoscendo un po ' tutta la discografia vecchioniana e considerando il momento che l'autore stava vivendo in quel periodo, opterei decisamente per il sì. Nel dittico "Calabuig - Sette meno uno (Il cane, la volpe, la civetta, il fagiano, il cavallo, il falco)" si parla della scomparsa di un certo Sir Anthony Mcintosh avvenuta durante una caccia alla volpe nel 1821 e si dice che "non si seppe mai più nulla di lui" ed inoltre che "Torneranno tutti, mancherà uno solo": anche in questo caso è evidente, a mio avviso, la "simmetria metaforica" di questa storia con al centro un uomo partito per non tornare e non farsi ritrovare più con la situazione sentimentale-esistenziale dell'autore all'epoca.

"Il capolavoro" tratta, a mio parere, dell'amore ed anche del piacere che ogni artista prova nel vedere realizzato il frutto della sua arte, sia esso una scultura per uno scultore, un quadro per un pittore, un libro per uno scrittore, un film per un regista e, naturalmente, una canzone per un cantautore. Ma anche la difficoltà di conciliare vita privata ed artistica potrebbe essere stata una delle cause della rottura del matrimonio di Roberto con la sua prima moglie. D'altronde, lo stesso Vecchioni era stato chiaro al riguardo in suo brano del 1976, "Figlia" dove, rivolto appunto alla figlia nata da poco, le aveva detto "E scusa, scusa se ci vedremo poco e male": "profezia" che puntualmente si avvererà. Anche nel brano "Il castello" vedo un evidente riferimento alla sua vicenda personale: si parla di una donna che in un castello aspetta (invano?) il ritorno del suo uomo partito per la guerra. Alla fine lui torna ma "È lui, sorride sulla porta, è lui, lo stesso di una volta. Ma chiede scusa e non l'abbraccerà; Ha gli occhi stanchi, è sempre bello, ma tiene addosso quel mantello che non si toglie e non si toglierà". Questo pezzo sarà ripreso quasi identico, ma col nuovo titolo di "Fata" nel successivo album di Vecchioni "Bei tempi" del 1985: ho sempre pensato che ciò sia stato fatto volutamente per sottolineare la "nuova vita" del cantautore con la nuova compagna e chiudere definitivamente un capitolo della sua "vita precedente", come sottolineato anche nell'altro brano presente sempre nell'album del 1985, "La mia ragazza", dedicato proprio alla sua nuova compagna. Chiude il disco la canzone forse più criptica dell'intero lavoro, "L'estraneo (infiniti ritorni)", anche se già il titolo dovrebbe essere un indizio rivelatore del riferimento (anche in questo caso secondo me) alla vicenda personale del cantautore. Già la caratterizzazione esistenziale del protagonista del pezzo, l'estraneo appunto, ci fa capire che siamo di fronte ad un uomo che non ha nessuna certezza ma che allo stesso tempo ne ha un disperato bisogno. E che dunque è sempre alla ricerca di qualcosa o qualcuno che possa dare un senso alla sua vita, per trovare il quale non esita a mettersi in viaggio e toccare molti luoghi, sia reali sia mitici quali Smirne, Tebe,Toledo, Granada, Gerusalemme, le terre dei popoli celti, avvalendosi a volte di gesti molto duri e violenti, come ad esempio "E in un attimo di Granada ho ucciso per due volte uno stesso uomo, e non chiedevano perdono i suoi occhi" o ancora "E ho imparato le mille posizioni fra le gambe di donne e di bambini, le loro bocche come fiori" con chiaro riferimento alla pedofilia. Ma, ripeto, a mio avviso questa canzone va letta in ottica simbolica-metaforica, come quasi tutte le altre di questo album.

Dal punto di vista musicale, nel disco predominano le ballate (Ninni, A te, Il capolavoro, Il castello) ad eccezione del rock (abbastanza inconsueto per un autore come Vecchioni) della title-track, del folk del dittico "Calabuig-Sette meno uno", e del quasi prog de "L'estraneo". Gli arrangiamenti sono del suo fido collaboratore Mauro Paoluzzi; i musicisti coinvolti sono lo stesso Mauro Paoluzzi alla batteria, percussioni, chitarra elettrica e chitarra acustica, Stefano Pulga al pianoforte, Fender e sintetizzatore, Billy Zanelli al basso, Lucio "Violino" Fabbri al violino (e non poteva essere altrimenti), mentre Naimy Hackett partecipa ai cori.

In conclusione, per il sottoscritto si tratta di un album ottimo che fa parte del "periodo magico" di Vecchioni che va dal 1973 di "Il re non si diverte" al 1984 di "Il grande sogno" e che annovera al suo interno quattro capolavori assoluti: la title-track, Ninni, A te e Il capolavoro (Nomen omen in questo caso). Naturalmente quella che precede è esclusivamente una mia interpretazione personale del significato dei brani dell'album, che non trova riscontro in nessun dato certo ed oggettivo. Sono sicuramente possibili anche diverse altre interpretazioni, ma la musica è bella anche per questo: una volta che un brano è stato pubblicato e quindi reso fruibile a tutti, ognuno può darne l'interpretazione che vuole, che non necessariamente coincide con quella dell'autore. O no?

Carico i commenti... con calma