Rog Phillips (1909-1966) è uno dei tipici e più rappresentativi autori di fantascienza della sua generazione. In qualche modo è un iniziatore, perché fa parte di quella generazione di autori (egli stesso nella sua opera nomina ad esempio il mito Richard Shaver) che nel secondo dopoguerra furono più che produttivi, pubblicando personalmente con una varietà incredibile di pseudonimi nel complesso tra racconti e romanzi di genere oltre 200 storie. D’altra parte il suo contributo alla causa si può maggiormente considerare come per altri autori del periodo, più importante per questa specie di “attivismo” (che, badate bene, fu veramente fondamentale) che per i contenuti delle sue opere.

Parliamo di un momento storico in cui la fantascienza conosce una vastissima diffusione negli USA e in tutto il mondo occidentale, un fenomeno amplificato anche dalla incredibile diffusione delle fanzine di genere, sebbene queste storie siano nella maggior parte dei casi ingenue, prive di contenuti concreti e che diano adito a processi di tipo speculativo. In molti casi si tratta anche di opere di scarsa qualità e poco ispirate e scritte in un linguaggio e una forma mentis che di lì a poco sarebbero divenuti obsoleti. Nella traduzione in lingua italiana questo particolare è ancora più evidente. Basti citare un paio di esempi per tutti: l’utilizzo in ogni caso dei pronomi; una terminologia diciamo poco convenzionale e forse anche frutto di un lavoro non molto puntuale, ad esempio l’uso del termine “apparecchio” per indicare un semplice normalissimo aeroplano.

Per questo un romanzo come “Worlds Within” (1955) al giorno d’oggi si può considerare più una specie di testimonianza di un’epoca nella storia del genere fantascientifico, che una storia anche dedicato al solo intrattenimento. La trama raccontata, oltre che non avere fondamenti di natura scientifica, è veramente troppo ingenua e lacunosa per potere essere definita convincente e avvincente. La storia segue le avventure dei giovani Lin Carter e Edona Merritt, figlia del Professor Merritt, colui che ha scoperto attraverso degli studi sul magnetismo che esistono sette “Terre”, contenute una dentro l’altra e separate tra di loro da poche miglia. Per viaggiare da una Terra all’altra, i viaggiatori si servono di una speciale “cintura” che apre loro il passaggio da una Terra all’altra e che raggiungono letteralmente precipitando aiutati da un paracadute. Tutto questo viene spiegato in una maniera complessa ma evidentemente priva di ogni supporto scientifico: ricordiamo a parte tutto che le teorie sul multiverso non erano ancora una realtà. Aiutati dal giornalista Art Gates i nostri due giovani e innamorati eroi, su una “Terra” dove si sono rifugiati secoli prima gli Incas per sfuggire ai conquistadores, dovranno scontrarsi contro manifestazioni mostruose in bilico tra sciamanesimo e robotica e contro il terribile Montakotl, l’uomo che sa padroneggiare le “armi del freddo”.

Mi sembra persino scontato aggiungere che ci sia un lieto fine al termine di queste avventure, ma non posso negare che nonostante la semplicità complessiva dell’opera,durante la lettura, la noia abbia prevalso su qualsiasi interesse. Consigliato solo ai cultori del genere o meglio di un'epoca particolare dove ancora bastava poco per poter sognare a occhi aperti.

Carico i commenti... con calma