Se la psichedelia avesse un volto, sarebbe quello di Roky Erickson, il primo - vero - uomo a giungere fino agli estremi confini dell'Universo. Nel 1967, dopo la pubblicazione di "Easter Everywhere", si era già quasi conclusa l'age d'or della stagione psichedelica, da lui stesso forse ufficialmente iniziata, e degli stessi 13th Floor Elevators: con l'abbandono di Tommy Hall e del suo jug visionario, le redini del gruppo vennero agguantate dal chitarrista Stacy Sutherland che, in "Bull of the Woods", ultimo disco della leggendaria formazione texana, eseguì il suo prevedibile compitino improntato su un fuzz-rock con marcate venature bluesy. Su quest'ultima fatica discografica, paradossalmente, Roky Erickson, quasi assente dalle sessions di registrazione per grane legali legate al suo consumo di droghe quali marijuana, peyote e LSD, firmò forse il suo brano definitivo, quella "May the Circle Remain Unbroken" che fondeva finalmente in un unico amalgama il suo flusso di coscienza cosmico al rumorismo psicotico degli Elevators... E' la fine di un'epoca.

Per Roger Kynard Erickson ne inizia un'altra, assai più dolorosa e buia quanto una cella. Dopo aver parlato vistosamente non-sense all'HemisFair di San Antonio davanti a milioni di persone viene rinchiuso nell'ospedale psichiatrico di Austin da dove viene trasferito, dopo ripetuti tentavi di fuga, nel manicomio criminale della contea, nel quale verrà bombardato di psicofarmaci e liberato solo qualche anno più tardi. Uscito da questo claustrofobico tunnel sembrò volersi dedicare alla poesia prima di tornare, sospinto da figure storiche come Doug Sahm (Sir Douglas Quintet), altro guru del Texas sound che curò la produzione del suo singolo di ritorno, a far musica, ma con un'attitudine completamente stravolta. Roky Erickson non era più il cosmonauta del decennio precedente che vedeva la sua musica come un luogo onirico "dove la piramide incontra l'occhio" (sua celebre e personale definizione di psichedelia) e che scriveva di anime da vendere e di paradisi da raggiungere; il suo nuovo umore, solcato irrimediabilmente dagli elettroshock, era invece orientato verso un soprannaturale più cupo e popolato da zombie, vampiri e altri inqueitanti mostri degni della peggior fantascienza di bassa lega. Le quindici canzoni registrate nello studio di Stu Cook, ex-bassista dei Creedence Clearwater Revival, racchiuse tutte in questa raccolta del 1987, sono infatti un baccanale horror che si consuma in selvaggi rhythm and blues ("Don't Shake Me Lucifer"), in macabri riti voodoo ("Night of the Vampire") ed in tetri rave-up come quello di "Stand for the Fire Demon", che fotografa al meglio l'atmosfera da falò & storie di paura che regna in tutte queste registrazioni. La musica della nuova formazione di questo redivivo Erickson, gli Aliens, si allontana dalle variopinte allucinazioni degli Elevators e verte su un roccioso hard-rock chitarristico, figlio di un'inedita esigenza di semplicità ed immediatezza, che si esprime al meglio in pezzi come "I Think of Demons", fatta di climax e di torrenziali assoli, e "I Walked With a Zombie", forse la più celebre del lotto, che con quell'indimenticabile ritornello è un vero e proprio inno al grottesco. Per il nostro eroe, comunque, il cerchio non era ancora destinato a chiudersi. E, dopo aver richiesto ad un notaio di emanare una comunicazione ufficiale che dicesse che lui stesso fosse un alieno, tornò in un altro ospedale psichiatrico.

Mi piace pensare che se Roky Erickson finisse, all'interno di una di quelle stucchevoli liste sulle maggiori personalità del rock'n'roll in mezzo ai nomi di Brian Eno e di Keith Richards, se ne volerebbe via in un turbinio di polvere di stelle. Perchè per uno come lui, che bivaccava sotto ai ponti ma, contemporaneamente, sognava di volare fin sopra il cielo, un albergo a cinque stelle non sarà mai la sistemazione ideale. E ad un tipaccio del genere, soprattutto in questo mondo sempre più minacciato dalla mostruosità del normale, vanno tutte le mie benedizioni: che continui a minare la normalità di tutti, come ha stravolto la mia. Perchè il cerchio non è destinato a chiudersi, ma forse è meglio così.

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