Forse ho scelto il giorno sbagliato per rivederlo.

La verità è che un momento giusto per vedere questo film non esiste.

Oggi ha anche deciso di lasciare questa terra infelice un grande uomo, uno che ha dedicato la sua vita alla musica, nonostante la terribile malattia che lo accompagnava da anni. Buon viaggio Ezio.

Il pensiero che si trattasse di una rappresentazione cinematografica non ne ha alleggerito la visone, anche perché le vicende narrate rappresentano uno spaccato di ciò che è realmente accaduto sul fronte polacco durante la seconda guerra mondiale.

Il disagio ed il senso di inquietudine si è aggrappato come una scimmia alle mie spalle, solo la lettura delle Benevole di Littell aveva avuto un effetto simile. Non c’è un cazzo da fare, non si riesce a mandare giù quello schifo, non riesco a capire come l’uomo possa arrivare a tanto.

Vorrei scrivere dei miei impulsi omicida, della voglia di strappare il cuore dal petto di quei luridi bastardi con le mie mani e del profondo senso di impotenza e frustrazione che non mi abbandona, ma quello che penso io dello sterminio nazista è del tutto irrilevante, volevo solo provare a fare un esercizio di astrazione e parlarvi del film, si, il Pianista, di Roman Polanski.

Tratto da un libro autobiografico, scritto dal musicista polacco Władysław Szpilman, il film è uno spaccato di vita del bravissimo musicista durante l’invasione polacca fino alla liberazione per mano dell’esercito russo.

Idealmente il film è diviso in due parti, la prima è la vita della famiglia Szpilman alle prese con il difficile compito di sopravvivere in ristrettezze economiche e con le sempre più oppressive leggi naziste, ma, tutto sommato, l’angoscia delle atrocità naziste si manifesterà solo in seguito.

La seconda parte invece mette in risalto le doti interpretative di uno straordinario Adrien Brody: è la parte del film che, se da una lato metterà a dura prova la vostra sensibilità, dall’altro vi compenetrerà negli occhi e nel fisico smunto del protagonista.

A tratti claustrofobico a causa della spasmodica ricerca di rifugi per nascondersi alla follia omicida nazista, il film raggiunge la sua vetta, ed una delle pagine più belle della storia del cinema, allorché Szpilman viene scoperto da un ufficiale tedesco e, a seguito di una specifica richiesta dello stesso ufficiale, esegue un brano di Chopin (Ballata n°1 in sol minore) suonando un piano impolverato nell’appartamento dove aveva trovato rifugio.

E qui che la magia di Polaski si realizza. Un raggio di luce filtra da una finestra disastrata, il volto livido e malnutrito e le mani rattrappite faticosamente avviluppate ai tasti del pianoforte, il vapore acqueo formarsi al respiro affannoso di Brody a causa del freddo pungente. E poi l’ufficiale nazista. Una statua di marmo dal quale filtrano barlumi di umanità, un Dio che, finalmente, fa capolino in questo genocidio dopo 2 ore di film. E la speranza che la redenzione sia possibile.

Adrien Brody si rivela un interprete monumentale: il suo sguardo perennemente malinconico si presta perfettamente alla sceneggiatura ed è magistralmente diretto da Polanski.

Nota di colore: 5 anni prima Polanski aveva rifiutato la direzione di Schindler's List, evidentemente il suo particolare Olocausto non era ancora pronto e dovette aspettare il 2002 per regalarci questa perla.

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