Se Oscar Wilde avesse mai fondato un gruppo rock probabilmente sarebbe molto simile ai Roxy Music.

Poche altre formazioni possono vantare un cosí ardito connubio tra sperimentazione e ricerca della melodia che colpisce al primo ascolto, sempre in bilico tra ambizione intellettuale e cazzeggio.

Non sono in molti ad avere avuto la faccia tosta di unire incestuosamente il rock con il jazz, il prog e l´elettronica, in un immaginario fatto di (finta)decadenza, pseudoerotismo (si vedano le ammiccanti copertine), eleganza glamour, e soprattutto tanta (auto)ironia; ponendosi per certi versi come anello di congiunzione tra la scuola progressive degli anni ´70 e la new wave.

Dopo i primi due album-capolavori in collaborazione con Brian Eno i Roxy Music pian piano si misero a semplificare il loro suono, diminuendo gradualmente di album in album le divagazioni strumentali e le parti piú smaccatamente sperimentali, senza peró perdere capacitá e volontá di stupire, virando verso un art rock (in parte) piú canonico, che strizza l´occhio al pop, ma sempre raffinato, peculiare e di elevata fattura.

All´interno della discografia della band quest´album non rappresenta sicuramente uno degli apici (rispettivamente i primi due album per la fase „colta“ ed Avalon per quella, diciamo, „commerciale“) e viene spesso snobbato dagli appassionati della prima ora, un giudizio forse eccessivamente critico rispetto agli effettivi meriti dell´album in questione. Infatti, cosa non da poco, l´ascolto ci regala una manciata di eleganti e godebolissime canzoni di raffinato art-pop la cui qualitá rimane, inutile dirlo, abbondantemente al di sopra della media, soprattutto nel caso volessimo fare un infelice paragone con la ben poco aurea mediocritá dell´oceano di offerte attuali.

Album ruffiano e godereccio insomma, ma perfetta colonna sonora per le vostre serate dandy in cui sprofondare nell´eccesso e nella perdizione. (3,5/5)

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