Uno schifo. Ecco come si sentivano i fan dei Running Wild, compreso il sottoscritto, dopo l'ascolto di "Shadowmaker". Un album pubblicato dopo il presunto ritiro del gruppo tedesco, ritiro che però non durò neanche due anni. Tanta fu la delusione, nell'ascoltare un album piatto, noioso, privo di qualsiasi spunto interessante, e messo lì solo per far ritornare attuale il nome dei Running Wild e portare un po' di soldi.
Certo, se si guarda indietro al 2009, l'annuncio che la band capitanata da Rolf Kasparek si sarebbe sciolta, ha provocato non pochi dispiaceri. Ma se avessi saputo che tre anni dopo il gruppo si sarebbe riformato con il solo Kasparek come membro originale e che avrebbero rilasciato uno dei peggiori dischi della loro carriera, ogni dispiacere sarebbe andato a farsi benedire. Non comunque che la mancanza di idee fosse roba nuova nei Running Wild. Da più di una decina d'anni i pirati più famosi del metal avevano mostrato una certa svogliatezza nei loro album, fra tutti "The Brotherhood" (2002) e "Victory" (1999), album dai suoni mosci e testi da far ribrezzo. A tutto ciò va agggiunto il fatto che Kasparek non avesse più voglia di andare in tour e di dedicarsi alla sua band, e si capisce presto il motivo del loro momentaneo ritiro. Stanchezza che il leader dei RW mostrò anche nel live celebrativo "The Final Jolly Roger", con una prestazione che sembrava dire "Facciamo presto che me ne voglio andà a casa!"
L'annuncio di un nuovo album dopo poco più di un anno dal già citato "Shadowmaker" aveva fatto ben sperare i fan del gruppo, ma sopratutto tutto ciò che ci si aspettava dal prossimo disco era una sola cosa, riscatto. Voler sentire finalmente un prodotto che suonasse nello stile del gruppo, come non se ne sentiva dal lontano "Masquerade", di non voler più percepire quella dannatissima batteria digitale in sottofondo, insomma un album che valesse la pena ascoltare.
Nel 2013 perciò esce "Resilient", il quale finalmente tornava, almeno all'apparenza, ad essere un tipico disco della band. La copertina fra tutte, ritraente la mascotte Adrian, e non più quella sorta di Dart Fener che era presente in "Shadowmaker", o anche i testi finalmente consoni all'attitudine deei Running Wild, facevano togliere dalla mente pezzi come "Me & The Boys" o "I Am Who I Am".
Ahimè, neanche dopo pochi secondi dall'ascolto di "Soldiers Of Fortune" possiamo constatare che la batteria digitale non ha accennato ad andarsene, e che il fantomatico Angelo Sasso, pseudonimo inventato da Kasparek per coprire il fatto di usare una batteria programmata dal computer, il pezzo fortunatamente si fa ascoltare tranquillamente mostrando anche una grande prova al basso da Kasparek, il quale si occupò anche delle parti principali di chitarra insieme al secondo chitarrista Peter Jordan. L'ombra dei vecchi Running Wild si fa risentire in canzoni monotone come la Title-Track, e "Down To The Wire". E dire che Kasparek descrisse nelle interviste precedenti al disco questi pezzi come i più potenti dell'album. "Run Riot" e "The Drift" fanno riaccendere dopo anni quella scintilla che i Running Wild sembravano aver perso definitivamente, con la prima dotata anche di un bel ritornello che sembra esser uscito da un album degli Helloween più moderni. "Adventure Highway" riesce a metà nell'impresa, poichè se da una parte risulta un ottimo pezzo contornato da un bel riff, il testo non è propriamente il massimo:
"Check out the mirror and say, i'll do my way
Yes, i will be true to the roots of Rock 'n Roll!"
"Crystal Gold" è un pezzo che seppur rimanda nell'andatura alle canzoni di "Shadowmaker", riesce a crearsi una propria caratterizzazione, e portandoci uditivamente sani e salvi al gran finale, "Bloody Island", dalla durata di quasi 9 minuti e che rimanda senza tanti giri di parole alla magnifica "Treasure Island". Sia ben chiaro, non riesce assolutamente a far rivivere nell'ascoltatore la magia di quest'ultimo pezzo, ma ha un atmosfera molto anni 80', seppur la batteria, che la fa ergere senza alcun dubbio a miglior pezzo dell'album.
"Resilient" alla fine non è nè un album orribile, e neanche un album perfetto, ma è semplicemente quello che serviva ai Running Wild per non perdere definitivamente il rispetto dei propri fan e non cadere una volta per tutte nella banalità che già regnava sovrana in alcuni dischi usciti in quell'anno. Se da una parte abbbiamo una produzione al limite della decenza, una batteria che come già detto, risulta parecchio fastidiosa in alcune parti, e un egoismo sovrano da parte di Kasparek, dall'alltra è bello constatare che la band tedesca non abbia perso il suo smalto e che sia capace di scrivere e comporre (alcuni) pezzi ancora degni di nota. Non sappiamo ancora per quanto, ma a me va bene così.
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