I Rush stanno assumendo sempre più popolarità dalle nostre parti, anche grazie al fatto che finalmente dopo decine di anni di attesa, per la prima volta hanno tenuto un concerto in Italia. Il cd che mi appresto a recensire è del 1977 ed è il loro 5° album, quello che dà inizio alla cosiddetta 2° fase del trio di Toronto, quella smaccatamente hard-prog. Il live che ha preceduto quest'album aveva chiuso una prima era dei Rush in cui l'hard rock di matrice Led Zeppelin e Cream era ancora predominante, ma una ottima dose di personalità, la cura degli arrangiamenti e spesso i diversi cambi di tempo, avevano fatto si che catalogare i Rush in un genere preciso fosse perlomeno azzardato.

Ritornando al nostro album, in "A Farewell to Kings" si notano diversi cambiamenti: vengono completamente abbandonate le influenze Led Zeppelin, si da maggior spazio a parti acustiche, oniriche e sognanti e cominciano a farsi sentire influenze provenienti dal prog inglese di inizio anni '70. L'hard rock da questo punto di vista diventa un contorno che serve solamente per dar potenza ai brani, ma la matrice è interamente progressive.

E così si parte con l'epica cavalcata della title-track, dove la chitarra di Lifeson sembra assumere quasi il suono di un violino nella parte del ritornello e dove anche Geddy Lee (basso e voce) e Neil Peart (batteria) danno sfogo di se nello stacco strumentale al centro della canzone. La seconda traccia è "Xanadu", una canzone regale che può assumere sicuramente il nome di mini-suite. Una delle tracce entrate nell'olimpo del rock, canzone che vive di tratti onirici e sognanti ed improvvise accellerazioni hard rock. Il testo è tratto dal Kubla Khan di Coleridge. La terza traccia "Closer to the Heart" è diventato l'inno dei Rush è il loro primo singolo di successo. Il testo è abbastanza spirituale e parla di come dal più umile al più potente, la via del cuore sia quella da seguire. Certo spesso i testi di Peart sono intinti di un certo moralismo snob, ma in altre parti è davvero poetico e profondo, tanto che alcuni suoi testi sono stati studiati in diversi istituti americani. La quarta traccia "Cinderella Man" è una canzone che ha un pregio di cui poche band possono permettersi, ossia unisce immediatezza melodica ad una tecnica di alto livello: una canzone facilmente memorizzabile ma che ha delle parti di batteria e basso molto complicate! Qua sta la grandezza di questa band, unire immediatezza comunicativa a grande tecnica che non serve per dar sfoggio di se, ma è asservita alla forma canzone. La quinta traccia "Madrigal" è interamente acustica ed è dotata di quelle melodie che entrano dritte dentro il cuore. Chiude l'album la "spaziale" in tutti i sensi "Cignus X-1". Una canzone potentissima dotata di un crescendo memorabile. La canzone parla di un buco nero situato nella costellazione del Cigno. In questo caso il testo è un pretesto che serve per immergerci completamente in un'atmosfera spaziale in cui il finale di canzone sembra davvero risucchiarci in un vortice!

Grande album per una grande band. Ovvero anche gli americani sanno fare prog senza scopiazzare!

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