Rush - Exit… Stage Left (1981)

Con “Exit… Stage Left” i tre geni canadesi conosciuti come Rush producono quello che io ritengo il loro live più affascinante. La tracklist è piuttosto completa, e comprende lavori provenienti da “Fly By Night” (1975), “2112” (1976), “A Farewell To Kings” (1977), “Hemispheres” (1978), “Permanent Waves” (1980) e “Moving Pictures” (1981), a mio parere i loro album migliori. Si inizia subito forte con la hit “The Spirit Of Radio”. Qui la commistione fra blues, ritornelli orecchiabili e la padronanza di tecnica musicale a cui ci hanno abituato i maestri dà vita ad atmosfere davvero coinvolgenti, anche più di quelle create nella registrazione in studio.
Dopo la stupenda “Red Barchetta”, terza canzone è la mitica “Yyz”, strumentale divenuta un must per il trio. L’intro di campanelli inizia dal nulla e la folla esulta: poi è tutto un susseguirsi di botta e risposta che finisce col cadere nel vuoto… ma allora entra in scena Sua Maestà Neil Peart con uno dei suoi fenomenali assoli: da restare a bocca aperta.
Come se niente fosse, si riattacca subito con la canzone, e di nuovo la folla esplode. In questa interpretazione di “Yyz” sta tutta la grandezza dei Rush: il saper coinvolgere il pubblico, fondendo perfettamente assieme stili diversi. E l’ascolto dice certamente molto più di qualsiasi parola.

Dopo “A Passage To Bangkok”, “Closer To The Heart” e la breve “Beneath, Between & Behind” (tutte magistralmente riarrangiate), un po’ di liscio! È questo il simpatico intro di “Jacob’s Ladder”: ma le secche note di Lee risvegliano subito dal temporaneo intermezzo “soft” ed inizia l’apoteosi del tempo composto: non un momento di tregua, ogni battuta è un sussulto; dove pensi che ci sia un accento forte, non c’è: regna il 5/4 ed il 6/4! Per non parlare della parte strumentale centrale, dove Peart compie veri e propri volteggi, tra cassa e rullante, in 7/8. “Insostenibile” e magnifica.
Dopo altre cinque grandiose canzoni, “Broon’s Bane”, “The Trees”, “Xanadu”, “Freewill” e “Tom Sawyer”, il finale è quello che tutti avrebbero voluto: “La Villa Strangiato”, eseguita impeccabilmente e, anzi, anche meglio della versione in studio. L’intro iniziale di Lifeson è più lungo e potente e l’assolo dello stesso a metà canzone è qualcosa di indescrivibile a parole: un crescendo emozionantissimo, da ascoltare ad occhi chiusi, liberando la mente, lasciandosi inondare dalla pura estasi che esso procura. E poi la parte jazz-blueseggiante magistralmente interpretata, gli stacchi sincopati ed il finale secco, che lascia l’ascoltatore attonito, ma veramente appagato.

Insomma, un live davvero completo, divertente, coinvolgente e ben suonato, con tutti i volumi a posto: una grande performance di un gruppo che non finirà mai di stupirci in quanto a tecnica, innovazione ed originalità. A me vengono i brividi ogni volta che lo sento. Ecco che cosa il progressive deve procurare, secondo me: veri e propri brividi lungo la schiena.

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