Anno del Signore 1991.
Il trio canadese dei Rush (formato da Geddy Lee a basso e tastiere, Alex Lifeson alla chitarra e da Neil Peart alla batteria) si trova in quello che è stato considerato da gran parte dei fans del gruppo il loro "periodo di transizione". La band da qualche anno era reduce da una serie di problemi, che avevano in parte minato il fino ad allora idilliaco cammino dei tre di Toronto: il produttore Peter Collins, che aveva già lavorato con loro su "Power Windows" e "Hold Your Fire", aveva deciso di abbandonare la nave e di conseguenza i tre musicisti erano stati costretti a cercare un nuovo produttore: la scelta ricadde su Rupert Hine, già produttore di artisti come Tina Turner e Bob Geldof. Oltre a ciò, nel gruppo fecero capolino i primi malumori, con Alex Lifeson che, pur non facendo pesare la sua opinione sui compagni, si sentiva comunque messo da parte; la sua chitarra, fin dall'album "Signals" (1981) era stata gradualmente messa in secondo piano, a favore di quelle tastiere e sintetizzatori che andavano così di moda durante quel periodo. Infine, alcuni sostenitori del gruppo avevano manifestato per la prima volta diverse critiche verso il suono "plasticoso" usato negli ultimi dischi, considerati come fin troppo lontani dalle atmosfere hard rock/progressive di "2112" e "Moving Pictures".
In questo clima non proprio perfetto il trio mise sul mercato prima "Presto", che si dimostrò un deciso cambio di marcia nel sound della band, con la chitarra di Lifeson che riacquistò finalmente il suo meritato spazio, e poi questo "Roll The Bones".
La strada intrapresa con il precedente album fu confermata anche qui: si può notare infatti un maggiore equilibrio tra i vari strumenti, con le tastiere che, pur facendosi sentire, non ingombrano eccessivamente la scena, lasciando maggiore spazio a chitarra e basso; per il resto, la squadra vincente non è cambiata affatto. Lee e Lifeson, addetti alle musiche, mostrano ancora una volta come siano capaci di mischiare sapientemente un suono prettamente hard rock (la tagliente opener "Dreamline" ne è un chiaro esempio), con tecnica da maestri del progressive e infine con delle atmosfere che spaziano dalla dolce ballad (la bellissima "Bravado") fino al funky (evidenti rimastugli delle influenze degli anni '80, testimoniati dalla strumentale "Where's My Thing") mantenendo però intatto il loro caratteristico sound, sempre riconoscibile e che ha costantemente fatto la fortuna del trio canadese. D'altra parte, i testi scritti da Peart si dimostrano sempre adatti all'occasione e, in questo caso, uniti da un sottile filo conduttore legato alla sorte e alla fortuna; siamo lontani quindi dagli argomenti sci-fi e fantasy del primo periodo, trattati abbondantemente in dischi come il già citato "2112" o "Caress of Steel".
Non tutto è rosa e fiori, però. La produzione di Hine appare fin troppo fredda e impersonale (difetto già riscontrato in "Presto") non permettendo all'album di sprigionare completamente la sua energia; inoltre, durante l'ascolto si possono notare un paio di riempitivi che non aggiungono nulla al valore del disco, utili probabilmente solo per riempire un po' di spazio (si parla sempre di riempitivi dei Rush comunque, quindi la qualità è sempre garantita).
In conclusione, si può considerare questo "Roll The Bones" un album transitorio, forse contraddittorio nel suo rimanere in equilibrio tra il sound anni '70 e quello anni '80, ma comunque fondamentale, in quanto (assieme al precedente disco) traghetta i Rush dalla musica centrata sulle tastiere dei vari "Grace Under Pressure" e "Signals" al suono hard rock che caratterizzerà i successivi "Counterparts" e "Test For Echo". Non epocale come "Hemispheres", non spiazzante come "Power Windows", ma comunque un lavoro di qualità made in Canada.
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