Partita come la Alanis Morissette giapponese con Muzai Moratorium (1999), passata attraverso il rock stridente e caleidoscopico di Shouso Strip (2000) e l'art-pop eclettico e raffinato di Karuki Zamen Kuri No Hana (2003), e infine approdata a un irresistibile jazz-pop con Sanmon Gossip (2009); per non parlare della sua militanza nei Tokyo Jihen. Tutto si può dire della star nazionale Ringo Shiina, tranne che le manchi l'ispirazione, e soprattutto che non le piaccia fare un po' quel cazzo che le pare, quando ne ha voglia lei, come e con chi più le garba, riuscendo comunque a ottenere un gran successo commerciale nel suo paese.

Artista a tutto tondo, musicista poliedrica, cantante dalla voce indomabile (a tratti mi ricorda la mia adorata Joanna Newsom ai tempi di Ys, e inevitabilmente anche un po' Björk), arrangiatrice e compositrice brillante: la Ringo riesce ad essere tutto questo anche nella realizzazione di un lavoro apparentemente secondario come Gyakuyunyu - Kowankyoku (2014), una raccolta di auto-cover, ovvero canzoni scritte da lei per altri artisti, ora riarrangiate in più salse.

È chiaro che da un album così eterogeneo e spudoratamente autoreferenziale non poteva uscire l'ennesimo capolavoro, sebbene a livello di suoni e produzione siamo a livelli assolutamente professionali, forse il punto più alto della carriera di Ringo solista. Gli 11 brani in tracklist, per la durata concisa di circa 40 minuti, attingono da tutto il bagaglio musicale dell'artista, andando così a formare un piccolo ma pur sempre ottimo riepilogo, nonché un'ideale alternativa per chi pensa che il pop giapponese sia solo un'overdose di kawaii tipo anime sbrilluccicosi, oppure un branco di quindicenni che ti fanno annusare il rosso fiorellino della loro verginità.

Certo, non mancano i momenti radio-friendly, e infatti proprio PrivateSeishun no matataki e Cappuccino sono i brani che più strizzano l'occhio al tanto vituperato/venerato j-pop, senza comunque sfociare nel cattivo gusto: Private, nonostante quei suonetti volutamente naive e plasticosi, ha un ritornello e un bridge strumentale che divertono assai e (per quel che mi riguarda) fanno saltellare sulla sedia come un cretino; ma è soprattutto con Cappuccino e Seishun no matataki che Ringo mette in mostra la sua consueta eleganza al servizio della forma canzone, sfornando gioiellini che le varie puttan-pop di turno possono vedere tutt'al più col telescopio.

L'ensemble di ottoni di Shuen no onna, d'altro canto, apre il disco col fragore di una pioggia di meteoriti: ed è qui che emerge prepotente la Ringo più jazzata, ancora reduce dalle sessioni frenetiche e caffeinomani di Sanmon Gossip, con quei ritornelli talmente travolgenti ed elettrizzanti che sfiorano il ridicolo. Sulla stessa scia troviamo l'intermezzo strumentale Bouenkyou no soto no keshiki, altra meraviglia in cui i vari strumentisti si passano a turno il motivetto principale, dilettandosi in uno squisito saliscendi emotivo. Una cosa è certa: a lavorare con questa pazza furiosa ci si deve divertire parecchio.

Naturalmente sono presenti i richiami al passato rock dell'artista: Amagasa e Hiyori Hime potrebbero essere benissimo delle b-sides del periodo di Muzai Moratorium e Shouso Strip; sicuramente piacevoli ed energiche come il resto dell'album, ma l'autrice è ora una trentaseienne madre di famiglia, con una personalità artistica ormai ben affinata, e di conseguenza la carica giovanile è andata un po' disperdendosi. Ben più ficcanti risultano le cafonate elettroniche come Ketteiteki sanpunkan e Kachou no otoko: in particolare quest'ultima, se pompata per bene con l'adeguato armamentario di casse, rischia di far crollare le mura di casa tra voci distorte e trapanate hardcore. Con Manatsu no datsugokusha si concede spazio anche ad una simpatica parentesi dal retrogusto funky.

A concludere questo bellissimo lavoretto di consolidamento (ma sempre con uno sguardo al futuro) ci pensa la malinconica Saisakizaka: come nella Bonsai Hada di Sanmon Gossip, Ringo si affianca all'accordion di Yoshiaki Sato per calarsi nelle sobrie vesti di cantautrice, e pure queste miracolosamente le calzano a pennello. Insomma, Gyakuyunyu butta nell'insalatiera un po' di questo e un po' di quello, riesce a farsi piacere dall'inizio alla fine senza grossi scivoloni e ci restituisce dopo cinque lunghi anni un'artista ancora una volta in stato di grazia. Personalmente continuo a ritenere Karuki Zamen Kuri No Hana il capolavoro assoluto di Ringo e non credo che riuscirà mai a tornare a quei livelli, ma se consideriamo gli standard qualitativi del pop odierno, dischi come questo rappresentano a mio parere un autentico sollievo. Magari per voi no, eh!, ma tanto vale provare.

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