I diecimila giorni del titolo non sono altro che i trent'anni passati tutti insieme al gruppo di Oakville, Ontario, da uno dei fondatori ed ora dimissionario, il cantante Michael Sadler. Il suo distacco è del tutto amichevole, nessun conflitto artistico o caratteriale, Sadler semplicemente anela ad avere più tempo a disposizione per godersi la famiglia, cosicché contraccambia questa specie di dedica finale con una cura ed un impegno vocale speciali, al massimo delle proprie possibilità, insomma con un canto del cigno da vero protagonista.

Non che gli altri quattro stiano a guardare... c'è gloria per tutti in queste nove riuscite tracce, compreso l'elemento relativamente nuovo, il batterista Brian Doerner alla seconda, maiuscola prova discografica con i Saga. D'altronde gli addetti ai lavori lo considerano da tempo niente di meno che il secondo miglior batterista canadese, ovvero il primo fra quelli "umani" (il conterraneo Neil Peart, polipoide centrale ritmica dei Rush, ha notoriamente origini marziane!).

L'esempio più eclatante è la seconda traccia "Book of Lies", summa del meglio del meglio che possa dare questa formazione: un balbettante riff pizzicato da Ian Chricton sulla chitarra elettrica predispone l'orecchio all'incertezza, cosicché quando arriva il primo tonfo del treno ritmico si rimane stesi in un fiotto di adrenalina. Sopra il pedalone basso/batteria la bella voce di Sadler declama le strofe, inseguita dalle risposte abbaiate insieme da chitarra e sintetizzatore: dinamica pazzesca, tiro bestiale. Al momento del ritornello il ritmo passa a tre quarti e il canto si allarga e si inviluppa in maniera lussureggiante, grazie ad elegantissime armonizzazioni di quarta e di sesta: classe da vendere, grande bravura.

Dopo il secondo giro è tempo di break: ripetute e terremotanti rullate di Doerner spianano la strada al solo di chitarra di Chricton. Il lungo assolo prosegue nel tipico stile imprevedibile e anguillesco del nostro, fino a sublimarsi in svelti tapping Bachiani che precipitano, dopo uno stop generale mozzafiato, nel riff pizzicato di base. Il più è fatto e c'è tempo solo per un'ultima riproposizione della splendida melodia del ritornello e i quattro minuti e rotti sono volati, pieni di forza e di voglia di musica e di grinta e di eleganza.

Al diciottesimo lavoro in studio il quintetto riesce ancora a piazzare canzoni di livello pregevole come questa, ma c'è dell'altro e di diverso: il frontman di origini irlandesi è squisito protagonista nella romantica super ballata "More than I Deserve", dotata di radioso ritornello sprizzante classe e raffinatezza, nonché umiltà (nel testo). Sul turgido tappeto di tastiere, certamente sciropposo per i non amanti delle ballate al miele, si appoggiano anche le assolvenze di Chricton, che smanetta da par suo colla manopola del volume riconducendo l'appassionato a un vecchio exploit del gruppo, quella "You and the Night" contenuta nel disco del 1985 "Behaviour".

Appropriato il posizionamento di questa canzone in scaletta, subito dopo gli scatenati sette minuti abbondanti e tutti strumentali di "Corkentellis" (ma che è?... mistero...), vertice spettacolare dell'album ed ora presenza fissa nelle scalette dei concerti: alla maniera jazz è proposto un vorticoso tema iniziale, che scivola poi in concatenate e cangianti situazioni soliste a cui non si sottraggono, sia pur brevemente, basso e batteria. L'obbligato iniziale riaffiora infine per portare il brano all'epilogo. Un brano fusion, specie nel solo di chitarra, ma con la sua bella componente progressiva data dallo stile, inevitabilmente pomposo, del tastierista.

L'abilità di armonizzazione di Sadler sfavilla nuovamente in "Sideways" e questa volta lungo le strofe, inturgidite e dinamicizzate dalle grasse pennate stoppate di Crichton. Il doppiaggio della linea vocale evita accuratamente gli scontati sentieri di terza e di quinta, inerpicandosi nobilmente verso settime e none a'la Mercury (il povero Freddie se fosse ancora qui avrebbe apprezzato, lui ci sguazzava in questi inviluppi armonici d'alta scuola).

Il battaglione di sintetizzatori Korg in mano al riccioluto Jim Gilmour è in pieno spolvero nell'iniziale "Lifeline": il suo prologo free form che incrocia tappeti di ottoni, arpeggi pianistici e contrappunti di legnetti serve a rendere sorprendente la puntuale deflagrazione ritmica, la quale procede smargiassa nel suo riffone ciclopico prima di concedere spazio al canto e in seguito agli assoli individuali, poi incrociati, poi a botta e risposta dei due agilissimi solisti. Il piccoletto alla chitarra in particolare è il solito drago: sentite con quale anticipo, tocco, tecnica, cuore afferra la corda del SI e la fa oscillare di un tono, intonato da paura e in completo controllo, intanto che le valvole dell'amplificatore, saturate di brutto, fanno il loro lavoro e liberano l'armonica superiore...: libidine!

Piena consistenza strumentale anche per "Sound Advice", che viaggia su di un portentoso riff in nove ottavi che poi si risolve in un eccentrico ritornello, una creativa cosa prog/rock'n'roll che spinge la voce di Sadler al limite della sua estensione. La porzione strumentale si concede evidenti e limpide digressioni a'la Gentle Giant, con i tipici incastri a contrappunto ereditati dai seminali maestri britannici che poi sfociano nell'ennesimo, bestiale assolo di Ian, capace di smanettare sulla sua Music Man con esuberante espressività.

Per chi dalla musica cerca ispirate idee eccoti il borbottante, stoppatissimo, ben strano riff di "Can You See Me Now?" prima a cavalcioni di una ritmica rotolante e poi a sfociare in un accordo straniante, ma confortato da una linea di canto convincente. E' musica scevra da aneliti commerciali e di banalizzazione, che lascia trasparire quanto questo gruppo, oramai senza incertezze e remore, lavori innanzitutto per il piacere dei suoi componenti, poi per quello dei fedeli estimatori, e basta. 

Al loro diciottesimo album di nuovo materiale, nonchè ventinovesimo anno di presenza sul mercato discografico, i Saga pubblicano nel 2007 quest'album che si va a piazzare fra i loro quattro, cinque migliori. Fresco di belle canzoni, libero di far affiorare a piena voce la vena progressiva, il gusto di suonare e di saper suonare, la collaudata, micidiale coesione esecutiva, senza badare alla carriera, alle vendite perché la dimensione "di culto" (pochi fans, ma buoni, fedelissimi, felici) è stata da tempo perfettamente accettata.    

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