Ed eccoci alle prese con una vera e propria leggenda del metal estremo, un gruppo che ha contribuito a fondare e consacrare un genere amato e odiato, come tutte le vere e grandi forme d’arte, eccoci con i Satyricon! In Norvegia, loro Paese natale, godono ormai di uno status che li eleva a band che conoscono anche i profani assoluti del genere, soprattutto (ma non solo) dopo la loro abbagliante performance con il Chorus of the Norwegian Opera & Ballet di Oslo nel 2015, all’Opera House della capitale norvegese, uscito nell’elegante box col titolo Live at the Opera.

Tornando all’oggetto di questo mio nuovo scritto, inizio confermando quanto già avevo sentito, quest’ultimo lavoro di Satyr & co. è davvero notevole, chiamatelo Black’n Roll o come cavolo volete, quello che rimane è solo e sempre la musica e stavolta è assolutamente superlativa. Dico “stavolta” perché confesso di non aver seguito molto il corso dei suddetti dal loro The Age of Nero, lavoro che non mi aveva particolarmente entusiasmato… Rimane comunque il fatto che vivere ancorati e proiettati nella prima metà degli anni ’90 non ritengo sia un atteggiamento che giova a mente e spirito, sperare che ogni nuova uscita sia un altro Dark Medieval Times o The Shadowthrone sarebbe paradossale e a dir poco anacronistico, anche perché è giusto rispettare il fatto che un artista non senta più il bisogno di esprimersi attraverso un particolare genere, che gli stia stretto o che, semplicemente, non lo senta più come parte totale e totalizzante di se. I Satyricon d’altra parte rimangono in qualche modo fedeli a certe atmosfere, la voce di Satyr graffia e pugnala come sempre, le impressionanti percussioni di quel genio assoluto di Frost, squarciano e fanno a pezzi chiunque decida di schiacciare il tasto play (sentite “Burial Rite”), dal punto di vista compositivo, lirico e di maestria indiscussa, i nostri sono sempre quelli, anzi! La maturità anche stilistica si fa sentire e pezzi come “To Your Brethren In The Dark” non se ne andranno facilmente dalle vostre apparecchiature così come dalle vostre menti… Anche l’iniziale “Midnight Serpent” vi proietterà in quello che sto cercando di dirvi, molto meglio della parola scritta è infatti la costruzione di un brano come questo, dove Frost è strepitoso, ogni cosa è esattamente dove vorremmo che sia, inclusa l’interpretazione del baritono Håkon Kornstad ad impreziosire il tutto. A mio modesto avviso, la svolta del notevole (e ingiustamente incompreso) Rebel Extravaganza, dette ai Satyricon nuovi seguaci e nuove prospettive interpretative che continuano oggi ottimamente anche in questa ultima fatica; Deep Calleth Upon Deep è un album da assorbire pian piano, anche se pezzi come quelli che ho citato sopra, assieme ad altri come ad esempio “The Ghost of Rome”, sapranno entrare da subito dentro la pelle dell’ascoltatore senza pregiudizi. Black Metal quindi, Black’n Roll, Prog metal, venature dark, cavalcate epiche e suoni low-fi, tutto si può azzardare a dire, come nulla più dell’ascolto saprà dirvi, poi per carità, così come loro sono liberi di esprimersi, i fans incalliti della prima sacra triade di album (1994-1996) sono liberi di non ascoltarli o di non riuscire a percepire quello “spirito” che cercano, tutto è legittimo nell’arte, da una parte e dall’altra della barricata.

In conclusione segnalo che la cover è nientemeno che un celebre disegno del loro conterraneo Edvard Munch (quello del celebre “Urlo”, per i profani), l’opera si chiama Todeskuss, il bacio della morte qui rende bene l’idea, lo sfondo candido si presta al contrasto dell’eterno incontro/scontro tra Eros & Thanatos, presente nell’inconscio umano almeno dai fasti delle antiche civiltà fondatrici del pensiero e della ricerca filosofica. Stavolta, tra l’altro, il tema ricorrente della morte si fonde con quello della vita, il bacio è comunque vitale, così come il bianco è segno e simbolo di rinascita e luce, forse a causa della malattia riscontrata all’anima e colonna portante del gruppo, il buon Sigurd “Satyr” Wongraven, così infatti Frost rispondeva riguardo questo delicato tema e riguardo alle ripercussioni sul loro lavoro: “Senza dubbio c’è una forte componente personale. Satyr sta affrontando una malattia, credo ne abbia parlato con grande trasparenza. È qualcosa che ti porta a confrontarti con delle domande esistenziali, a riflettere molto e questo pesa quando crei arte. È curioso, perché sono due settimane che mi fanno molte domande sul fatto che il disco sia giunto ad un livello così intimo. È qualcosa che richiede tecnica ed esperienza, in realtà, oltre ad una grande capacità di scavare in profondità nella propria anima. In fondo è questo che abbiamo fatto su questo album: abbiamo rallentato tutto e questo ha avuto delle ripercussioni anche sulla forma dei brani, sulla loro composizione.” (frammento riportato dal sito Metalitalia.com).

Così è, dunque, facendo i miei migliori auguri a Satyr, non posso che concordare con le parole sopracitate, e vi lascio con le loro:

“With a fearless heart and no one's dream torn

just like the fire burns on the hillsides north

you will tear the skies and we will never die…”

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