"Tarots and the North" (dodici scritti abbinati ciascuno ad un Arcano Maggiore di Luis Royo)

"IX. The Star"

Una musica gentile, quasi timida, riuscita a passare inosservata nonostante la sua bellezza disarmante. Suoni capaci di evocare la libertà di una natura vergine, in uno scenario che incarna alla perfezione il motto epicureo "vivi nascosto", lontano dalle vane angosce alimentate dalla società o dalle guerre fratricide intraprese in nome di un potere inesistente. Il necessario è già qui, a portata di mano, e gli strumenti ci tengono a ribadirlo con ogni nota, fedeli alla filosofia del Giardino di Atene, la quale, scorrettamente tacciata sin dall'antichità di volgare edonismo, ha sempre proposto, al contrario, uno stile di vita ascetico, che inquadra la felicità nella cornice di un'esistenza frugale e tranquilla, dedita alla ricerca del piacere, non inteso come soddisfazione di pulsioni o desideri, ma quale assenza di dolore e turbamento.

Il compendio degli aspetti essenziali di tale dottrina nasce nel 2003 e porge immediatamente il guanto di sfida alle regole acquisite dell'industria discografica, sia quantitativamente, ritenendo sufficiente mezz'ora circa di durata, sia qualitativamente, sfoderando un inusuale folk elettrico dominato da violino e chitarra. Ma la provocazione maggiore risiede forse nel nome "Canto Psichedelico del Cigno" ("Psykedeelisiä Joutsenlauluja"), in grado di scatenare, oltre a giustificati dubbi sull'identità stilistica dell'album, anche e soprattutto i timori legati all'alto tasso di "mortalità infantile” cui è sempre stato vittima il mondo progressivo. Il merito di aver fugato tali ombre ricadrà, tre anni più tardi, sulla provvidenziale nascita del ribelle e iperdinamico "Valheista Kaunein", degno erede, a dispetto della cura profusa nell'evitare dogmatiche cristallizzazioni, del pensiero di fondo espresso dal contemplativo fratello maggiore.

Gli Scarlet Thread affidano la diffusione del loro messaggio al violino di Eini Pesälä, virtuoso emissario di un'armonia inizialmente preclusa dalle accese diatribe con la chitarra ("Viisauden Alku"), ma celermente raggiunta dai lamenti nostalgici di quel cigno solitario richiamato in precedenza ("Joutsenten Kaihoisa Laulu"), garante di una profonda temperie riflessiva, che non tarda a manifestarsi nello stupore del basso di Jani Timoniemi, rapito dalle ineffabili sfaccettature di un ambiente ipnotico e sinuoso ("Siipirikon Lento").

Tra incerti sentieri, appena visibili nel cuore di fitti labirinti arborei, riecheggiano le trasognate elegie del flauto di Anni Pesälä ("Vapahtaja"), perso nell'ammirazione per le funamboliche danze di un violino in estasi, il cui radioso piroettare squarcia senza pietà il quieto buio notturno ("Pimeästä Pohjolasta"); altrove, con lo sguardo catturato dalle correnti dell'etere, la chitarra e la disarticolata batteria di Panu Koskela collaborano appassionatamente nel tentativo di svelare il significato di maestosi e imperscrutabili fenomeni celesti ("Johdatus", "Ajasta Ikuisuuteen").

A breve distanza dall'uscita del secondo disco, il gruppo ha sistematicamente rielaborato il proprio repertorio, al fine di poter accogliere la voce della nuova arrivata Mari Vuoritie, e due anni fa, poco prima della sostituzione in blocco del reparto ritmico, pare sia giunta a compimento la terza fatica "Never Since", ancora inedita. Resta da augurarsi che tali stravolgimenti non vanifichino le conquiste consolidate dai primi due lavori, dei quali questo debutto brilla alla stregua di una stella minuta ma in grado di infondere una calma contagiosa all'animo di chi ne scruta il bagliore, conferendo realtà fisica alla sentenza di Epicuro secondo cui soltanto "l'uomo sereno procura serenità a sé e agli altri".

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