Penso che il fascino più grande di Claustrophobia sia il non sapere il contesto che lo ha generato, lasciandosi abbandonare alle sue atmosfere torbide. Un'oscurità caleidoscopica è calata sulla solarità di Scuba, aka Paul Rose, producer responsabile dell'etichetta HotFlush che ha saputo dare una sua particolare interpretazione dellla dubstep, ma anche un'artista che ha ampiamente dimostrato di sapere il fatto suo nell'ambito house. Il nuovo disco è una melassa sonora misteriosa e affascinante, molto diversa dal precedente Personality: totalmente (o quasi) sparite le parti vocali e anche qualsiasi desiderio delle alte posizioni in classifica. Se il precedente singolo The Hope faceva bella mostra nelle colonne sonore di videogiochi come Forza Horizon, non aspettatevi un esito analogo per le tracce che compongono questo personalissima release.
Cosparso di suggestioni orientali, brani sospesi in un limbo infinito e pulsanti scariche techno incredibilmente vicine a Richie Hawtin, il disco si fa notare anche per i titoli preoccupanti, come All i think about is Death, Needle Phobia e Why You Feel so Low. Non casualmente questi sono anche gli episodi più intensi dell'album, ma la qualità è davvero altissima in tutti i brani. Non c'è traccia di filler ma solo una grande maestria nel saper tenere sotto controllo composizioni complesse come Levitation e Transience, le due estremità del disco che non sfruttano mai drum machine per decollare, ma catturano con le loro sfumature ambient. La qualità sonora è semplicemente fenomenale e dimostra l'indiscutibile abilità di Rose al mixer, nessun suono è fuori posto, tutto è curato in maniera maniacale e con una spazialità studiata chirurgicamente per non perdere mai l'ascoltatore. Anche Black on Black, il brano più lungo e più vicino al mondo di Plastikman, non annoia mai nonostante arrivi a toccare i 9 minuti di durata.
Ripeto, rispetto al colorato e pimpante Personality, il pessimismo dimesso di Claustrophobia risulta apparentemente forzato, se non incomprensibile. Tuttavia quello che è successo a Rose tra i due album ne giustifica in qualche modo l'essenza. Una grave malattia subita dal musicista sembra aver infettato le tracce di inquietudini e timori riguardo salute e la vita stessa, con, sembrerebbe, la scappatoia spirituale evidentemente agevolata da una permanenza in Giappone. Non ultimo, bisognerebbe considerare anche il trittico di EP sperimentali di Rose pubblicati prima di quest'album, che già prendevano le distanze dalla dubstep o come vogliate definire la sua personale derivazione. Ovviamente sono ipotesi che ci aiutano a capire il mood di un album, ognuno è libero di vivere come crede queste composizioni, quello che non si può criticare sicuramente è la mancanza di coerenza, seppur diversi tra loro i dieci brani risultano splendidamente coesi. Il brano che preferisco è il già citato Needle Phobia, che al contrario del titolo è quasi seducente, grazie alla geniale intuizione di rallentare una percussione etnica per creare un micro universo cosparso di suoni EDM. Tanto di cappello. Un altro particolare, forse anche la caratteristica più affascinante del disco, è che Rose non riesce mai davvero a suscitare angoscia, grazie all'inserimento di elementi melodici - sempre molto marcati - che stemperano sensibilmente l'effetto finale, diciamo anche con qualche suono troppo "facilotto". Si tratta di un'oscurità calata su una luce molto potente e difficile da soffocare, generando uno scontro dagli esiti incerti. Una bellissima parentesi per questo brillante artista, anche se ci dispiace per il contesto non positivissimo che l'ha ispirata, sicuramente merita più di un ascolto.
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